Lungi da me qualsivoglia intenzione di contestare la piena facoltà di un organo di stampa di sostenere una battaglia, anche se questa appare già persa in partenza e fa pensare che non valga la pena di essere condotta. Molto spesso queste tipo di sfide sono le più belle in assoluto e godono di un alone di romanticismo che dà loro una particolare nobiltà. Se condotte perché ci si crede, con onestà e buona fede, tutte le battaglie hanno una loro piena giustificazione. Ciò detto, non posso, come farebbe chiunque al posto mio, che riconoscere piena legittimità alla scelta della rivista mensile Il mio vino di sposare, come sta facendo da oltre un anno a questa parte, la causa dell’’Istituto Talento Italiano , associazione di aziende costituita il 15 luglio 2009 che dichiara di voler ”promuovere la notorietà e l’immagine del Talento quale spumante di sicura origine italiana” e “valorizzare, sotto il marchio collettivo Talento, la notorietà, la riconoscibilità e l’immagine di qualità della spumantistica metodo classico”. E’ una sfida, quella del Talento, che ad ogni valutazione lucida e razionale appare chiaramente destinata alla sconfitta, perché anche se pomposamente questo marchio viene definito “un patrimonio nazionale a disposizione di tutti i produttori italiani”, proprietà del “ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il quale ne ha regolamentato l’uso con un decreto”, basta scorrere l’elenco delle aziende che sinora hanno scelto di mettere il nome Talento in etichetta per avere chiara l’evidenza che quella del Talento rimarrà una pura utopia. E che ci vuole un bel coraggio e una certa quale dosa di spudoratezza nel sostenere che il “Talento rappresenta l’eccellenza spumantistica italiana”. Non solo tra i “talentisti” manca totalmente la Franciacorta , perché come ho già scritto recentemente altrove , e come recita chiaramente all’articolo 3 il decreto citato , “la menzione «Talento» di cui all’art. 1 non è utilizzabile per la designazione e presentazione delle partite del V.S.Q.D.O.P. Franciacorta”, ma manca anche “l’azionista di maggioranza” del Trento Doc, ovvero la Ferrari, e La Versa a parte, che c’è, gli altri nomi rilevanti dell’Oltrepò Pavese. Ci sono, invece, a parte due aziende trentine di diverso peso e valore, Letrari e Rotari Mezzacorona, che è il vero mallevadore di questa assurda operazione, e l’altoatesina Arunda Vivaldi , tutta una serie di aziende semi sconosciute, di seconda fila o di nessuna importanza nel campo del metodo classico. Aziende che sono attive in zone non certo ad antica vocazione in materia di metodo classico come l’area di Conegliano e Valdobbiadene, oppure la Toscana, o il Friuli, o che si sono messe a produrre piccole quantità di vini con la tecnica della rifermentazione in bottiglia perché ultimamente “tirano” e hanno un buon successo commerciale.
Tornando all’house organ , pardon, al principale sostenitore giornalistico dell’operazione Talento, Il mio vino , nessuno negherà dunque che questo sostegno abbia un qualsivoglia costrutto, anche perché porta in cambio un bel numero di pagine pubblicitarie dell’Istituto e delle aziende associate. Quello che non va bene invece, che non ha alcuna giustificazione, è il linguaggio scelto dalla rivista, nella sezione centrale riservata al Talento, per presentare questo suo articolato e convinto appoggio. Mi riferisco all’uso del titolo “Alla scoperta dello Champagne* italiano ”, supportato a fondo pagina da una surreale dicitura, richiamata dall’asterisco posto subito dopo il termine Champagne, dicitura che testualmente recita: “il marchio Champagne è riservato in esclusiva ai vini prodotti in Francia nella zona di denominazione. L’uso del termine in connessione ai vini italiani ha il solo scopo di fare riferimento alla qualità straordinaria dello Champagne che può essere solo di produzione francese”. Sarebbe comunque grottesco e involontariamente comico tentare di accreditare l’idea, assolutamente incredibile e improponibile, che i Talento siano l’equivalente in terra italiana dello Champagne. Ma è ancora più ridicolo, segno di un mesto provincialismo e di una sorta di complesso d’inferiorità, che per apparire più importanti di quello che si è veramente ci si spinga a suggerire, ovviamente tra le righe e senza dirlo apertamente, la “pazza idea” che in fondo i Talento sono un po’ “gli Champagne italiani” e che la loro qualità non avrebbe molto da invidiare a quella dello storico, secolare, modello francese… Sarebbe come se in Alto Adige per presentare i loro validi Blauburgunder (Pinot nero) dicessero che sono i Bourgogne italiani o in Australia per magnificare i loro fortified wines , i vini fortificati, sostenessero che sono i Porto del Nuovo Mondo: ma per favore!…
Invece in Italia, e non so come la cosa possa essere tollerata dalla Champagne e dal Centro Informazioni che ne cura gli interessi, riusciamo tranquillamente, servendoci ovviamente di asterischi, distinguo e precisazioni che sono più improbabili di un’arrampicata sui vetri, a presentare lo “spumante Talento” (spumante? Ma non bastava il nome Talento ad indicare di che tipo di prodotto si tratti senza ricorrere alla generica dicitura di “spumante”?) come una sorta di “Champagne italiano”. Mi viene un dubbio: vuoi vedere che Gaetano Manti, direttore responsabile ed editore de Il mio vino, punta ad emulare, in materia di ascensioni impossibili, Spiderman l’uomo ragno?