
Giovanni Arcari
Terroir e vocazione alla qualità fuori discussione
E’ stato molto interessante il dibattito che si è sviluppato recentemente su questo blog in merito alla vocazione alla produzione di metodo classico di qualità della Franciacorta, vocazione contestata, non sempre in maniera convincente e spesso sopra le righe, in particolare da qualche lettore intervenuto, più volte, nella discussione.
Sul tema, riprendendo anche un post pubblicato, qui, su Vino al Vino, pubblico oggi, con grande piacere, le riflessioni di un amico che opera in Franciacorta e la Franciacorta conosce.
Parlo dell’amico Giovanni Arcari, animatore del blog Terra uomo cielo, e wine talent scout come l’ho più volte definito, che su Franciacorta e Champagne, o meglio, dell’incongruo, ingiustificato chiamare in causa la storica zona vinicola francese, quando si parla di Franciacorta, ci propone una serie di considerazioni molto acute.
Che mi auguro servano ad alimentare, in maniera costruttiva e senza sparate ad alzo zero e aprioristiche prese di posizione, una vivace discussione.
La parola a Giovanni Arcari
“Troppo spesso, sentendo parlare di Franciacorta, s’incontrano persone che cercano un immediato confronto con la Champagne. Naturale, mi viene da pensare di primo acchito considerando le similitudini che ne caratterizzano la produzione del vino.
Naturale, perché è da pochi anni che in Italia produciamo vino con questo metodo. Naturale, perché negli anni della “Milano da bere” chiamavamo ogni cosa frizzante lo “sciampagn italiano”.
C’è gente che tuttora crede che lo Chardonnay nasca frizzante. Siamo ancora “acerbi” in Italia per questa tipologia di vino, e la cosa è dimostrata proprio dalla ricerca di questo confronto.
Lo produciamo da circa un secolo, lo beviamo con attenzione da quindici e lo critichiamo o lo osanniamo da quattordici, in pieno “italian style”(parlo di ogni tipo di metodo classico al mondo, non solo di quello prodotto in Italia).
I francesi insegnano, con la loro assodata capacità di “fare territorio” che li contraddistingue da secoli, che è solo il territorio, inteso come contenitore di ricchezze e di culture, l’unica cosa non replicabile altrove.
I loro secoli di esperienza hanno portato a noi il senso del territorio che sta dentro a una bottiglia di vino. Territorio che sempre, è riconducibile a un vino. Un territorio nato come confine politico e che nel tempo è mutato sotto le sferzate che l’economia ha prodotto, ma di cui i contadini francesi hanno sempre difeso l’identità.
La Champagne è un lungimirante esempio di progresso economico e culturale di una comunità, di un popolo. Si è mantenuta ed evoluta nel tempo, perché il senso etico del produrre vino e del fare territorio era profondamente radicato nella cultura contadina.

Loro l’hanno capito prima di noi, nel caso Champagne-Franciacorta ben due secoli e mezzo prima. Hanno colto la necessità di unirsi pur rimanendo entità indipendenti, hanno saputo tutelare il territorio e valorizzare il frutto del loro lavoro, così percettibilmente indissolubile dalla terra.
Questo non può più accadere. Non può accadere che la classe contadina possa rendersi artefice di un movimento di tutela e sviluppo legato al futuro di un territorio, com’è stato in passato. Almeno non in Italia, dove negli ultimi cinquant’anni il lavoro della terra è stato la cosa più inflazionata, a vantaggio di un consumo di territorio assurdo.
Il potere contadino ha perso potere. La Franciacorta, sta cercando di fare ciò che i francesi hanno fatto tempo prima. Ci si insedia in un territorio, si cerca di capirne potenzialità e attitudini e poi si prova a dar vita a un “sistema territorio”. Che cosa crede la gente, che dio abbia creato il cielo, la terra, l’uomo e poi i territori vinicoli?
In Franciacorta si è sempre prodotto vino come in molti altri territori, un vino diverso da quello attuale perché figlio di una cultura rurale diversa, che ha “tardato” ad evolversi nella forma che oggi conosciamo.
Gli anni Novanta sono stati l’emblema di questo cambiamento. Al contadino piaceva il vino che produceva l’azienda vicina ma che era profondamente diverso dal suo, così ha cominciato a provarci anche lui. L’esempio, complice il successo che i consumatori attribuivano al prodotto, è stato seguito da molti fino a raggiungere l’attuale uniformità territoriale.
Hanno cambiato le loro colture, hanno sperimentato e hanno capito che il miglior vino producibile in questa zona sono le bollicine. È un parere come un altro certo, ma sorretto da un’indiscutibile condivisione d’intenti.
La “macchina franciacortina” non è di certo partita dalla consapevolezza contadina, ma da un esempio oltremodo virtuoso d’imprenditoria che, forse inconsciamente, ha permesso l’evolversi di un movimento rurale che oggi rappresenta la colonna portante della crescita enologica e qualitativa di questo territorio.
In passato c’è chi ha portato il metodo e chi ha capito come applicarlo comunicando con orgoglio il territorio, perché ben conscio di quanto descritto sopra ossia dell’unicità territoriale come unico dato oggettivo riscontrabile.
Come detto, una partenza imprenditoriale che ha dato il via a uno sviluppo rurale, ma che oggi, per mancanza di cultura, sta mettendo in difficoltà il sistema contadino.
Questa non è prerogativa sola della Franciacorta, ma di certo un fenomeno che deve essere arginato da una serie di distinguo che, spesso, provengono già dai vini stessi. Manca solo la consapevolezza di chi dovrebbe informare. Certo in Franciacorta non vi sono i suoli francesi -qui il mare non c’era- e a mio parere è un “vantaggio” per le scelte fatte.
Pensate alle critiche se per assurdo, il territorio fosse lo stesso! Non ne usciremmo vivi! A quel punto sarebbe stato opportuno produrre altro.
La Franciacorta pur essendo un microscopico lembo di terra è rappresentata da una varietà di suoli incredibile, come la Provincia di Brescia che comprende tutti i biomi presenti in Europa.

Il metodo, la consapevolezza per lo stesso, l’esperienza, la sperimentazione e la volontà di tutelare questo territorio, sono le basi giuste per radicare una cultura che si vuole affermare con indipendenza e con una precisa identità. Lo dico a cominciare da chi produce (che spesso tende a confrontarsi con gli Champagne), a chi fa informazione e ai consumatori: smettetela di cercare un confronto con i vini dei cugini d’oltralpe.
Criticate e osannate chi volete, ma con la consapevolezza che in un vino si cela la cultura di un popolo, soprattutto quella rurale, e l’unicità di un Territorio. “
Solo” questo dovrebbe farvi capire quanto di unico sta in una bottiglia. In Franciacorta si produce Franciacorta e in Champagne, Champagne. In Valtellina lo Sforzato e in Valpolicella, Amarone… Ed in terra di Langa Barbaresco e Barolo.
Il resto sono personalissimi gusti che rispetto e che accetto perché manifestati nel consueto ambito edonista che il vino rappresenta.