Berlucchi è un cognome di fondamentale importanza nella storia della Franciacorta. A delinearne l’attuale, riconosciuta vocazione alla produzione di metodo classico di qualità, e la centralità nel panorama produttivo italiano, hanno contribuito non solo Guido Berlucchi –leggete qui alcune note storiche – “un gentiluomo di campagna che, negli anni ’50, produceva a Borgonato, in provincia di Brescia, un vino bianco fermo”, da vigneti posti sui fianchi della piccola collina sulla quale sorge il castello di Borgonato di sua proprietà. Ed in seguito, grazie all’incontro con “un giovane della zona pieno di entusiasmo e di iniziativa, fresco diplomato all’Istituto di Enologia di Alba”, Franco Ziliani, decide di trasformarsi anche in pioneristico produttore di bollicine nobili. Ma hanno contribuito anche altri Berlucchi , parenti di Guido, che a loro volta pensarono di dare vita ad un’azienda agricola che oggi è arrivata ad essere proprietaria di qualcosa come 70 ettari di vigneto. Sto parlando di Francesco, Gabriella, Marcello, Roberto e Pia Donata, la generazione dei cinque fratelli Berlucchi, inventori e proprietari di un altro marchio storico di Franciacorta, la Fratelli Berlucchi . Cinque fratelli, anche se con il tempo ad occuparsi stabilmente dell’azienda è stata soprattutto Pia Donata , che è stata per diversi anni energica Presidente dell’associazione delle Donne del Vino e che è ancora oggi al timone, affiancata dalla figlia Tilli , dell’azienda. Cinque le cuvée prodotte (con la storica collaborazione, oltre trent’anni, dell’enologo Cesare Ferrari) per un totale di quattrocentomila pezzi che la rendono una delle più grandi “Maison” locali, ma pur con tutto il rispetto per il Pas Dosé ed il Satèn ed il Rosé, tipologia che producono e valorizzano da molti anni, il vino simbolo dell’azienda, ne producono 110 mila pezzi, è il Franciacorta Brut millesimato , le cui prime 3000 bottiglie uscirono dalla cantina più di trent’anni fa. Un classico, 36 mesi di permanenza sui lieviti, ottenuto da un 90% tra Chardonnay e Pinot bianco e da un dieci per cento di Pinot nero, di cui ho avuto il piacere di riassaggiare recentemente l’edizione 2006 (sboccatura 2010).
Un Franciacorta essenziale, paradigmatico e anti-spettacolare, lo definirei, con un dosaggio degli zuccheri tra i 6 e gli 8 grammi litro, dallo spettacolare colore paglierino oro brillante di straordinaria vivacità e brillantezza, e dal naso che non ho alcuna esitazione a definire solare, ampio, ricco, ben strutturato, con un fruttato giustamente maturo in evidenza (agrumi, frutta esotica, mela), con accenni di frutta secca, miele, fieno di montagna ed una nota minerale che richiama la pietra focaia. Un bouquet incisivo, fresco, salato, ben deciso, che trova conferma e amplificazione sin dal primo sorso, al palato, molto asciutto, diritto e piacevolmente secco, direi quasi essenziale, dall’andamento verticale, più dinamico e verticale che ampio e ricco di nerbo, con un finale, di bella persistenza, che chiude su una “lieve provocazione amarognola”, con “nerbo e stoffa avvertiti”. Per entrare nell’universo del Franciacorta un vino insostituibile.