Penso valga la pena di riflettere su quanto ci rivela, con un post sull’andamento delle importazioni di vino in Italia aggiornati a settembre 2010 l’ottimo Marco Baccaglio sul blog I numeri del vino . A voler condensare il tutto in un titolo bisognerebbe scrivere E’ lo Champagne il protagonista dell’import di vino in Italia. Scrive Baccaglio, qui , che “l’import di vino in Italia ha vissuto un grosso calo con la crisi (essenzialmente guidato dai vini spumanti, cioè Champagne) e sta vivendo una fase di ripresa che si colloca tra il +8% e il +10%. Quindi le importazioni crescono oggi un po’ più delle nostre esportazioni, anche se la differenza la si vede guardando indietro: mentre le esportazioni italiane (a valore) sono ritornate sui livelli pre crisi, le importazioni viaggiano oggi intorno a 250-260 milioni di euro annui contro il picco di quasi 400 milioni di euro toccato a fine estate 2008”. Come dice Baccaglio “i numeri totali sono ad oggi i seguenti: 255 milioni di euro di vino importato (di cui 131 di spumanti, 48 di vini imbottigliati e 76 di vini sfusi) e circa 1.5 milioni di ettolitri (di cui 1.2 milioni di vino sfuso, 200mila di vino imbottigliato e 100mila di spumanti). Come ben sappiamo le importazioni sono guidate dallo Champagne. Infatti, ad oggi le importazioni di vino imbottigliato sono circa 48 milioni di euro annui (+15%) e non sono cosi’ distanti dai 54-55 milioni toccati al picco. Ugualmente i 76 milioni di importazioni di vino sfuso non sono troppo lontani dai 90 milioni del picco, anche se in questo caso non stanno crescendo. La differenza la fanno gli spumanti (che continuo a chiamare cosi’…), dove siamo a 131 milioni di euro, ben lontani dal picco di 250 milioni toccato a settembre 2008 sul dato mobile a 12 mesi. Inoltre, le importazioni di “spumante” stanno cominciando a muoversi soltanto ora: infatti il dato di 131 milioni di euro”. A parte il discutibile uso della parola “spumanti” per quel prodotto squisitamente a denominazione d’origine, un prodotto dove funziona meravigliosamente l’equazione nome del prodotto = nome del territorio, che è lo Champagne , una domanda nasce spontanea riflettendo sui dati forniti da I numeri del vino. Chi deve avere “paura”, o meglio temere, commercialmente parlando, la ripresa dello Champagne ed il ritorno a livelli numerici che si avvicinano a quelli precedenti all’arrivo della crisi? Devono temerlo i diretti “concorrenti”, si fa per dire, italiani, (20 milioni di pezzi in totale contro 300 milioni) i vari metodo classico a denominazione d’origine, ognuno dei quali può contare su un’identità già affermata o in via di progressiva definizione presso i consumatori? Oppure devono temerlo gli “spumanti” generici ed i vini, anche a denominazione in alcuni casi, che hanno rosicchiato fette di mercato allo Champagne a causa della crisi economica? Io credo proprio che a doversi guardare dal ritorno dello Champagne siano proprio quest’ultimi. Non è solo una questione di prezzo, difatti, ma di gusto e di tipologia di vini. Chi beve frizzantini e spumanti generici non lo fa solo perché si tratta di prodotti ben più risparmiosi, ma perché apprezza questo gusto. E la stessa cosa vale per chi ama e beve regolarmente il Prosecco. Docg o Doc. L’Asti, con le sue caratteristiche di “spumante” aromatico dolce, è fuori dal discorso. Bene, se il mercato italiano, i consumatori tornano a scegliere Champagne (magari invogliati anche da una serie di prezzi in ribasso che si sono visti anche da noi, e non solo in Francia, negli ultimi mesi), io sono persuaso che continueranno, non in contrapposizione, bensì alternativamente, scegliendo una volta il prodotto francese, una volta gli italiani, a scegliere e bere anche Franciacorta, Trento, Oltrepò Pavese, Alta Langa. Non sono loro, le zone a denominazione dei nostri buoni e spesso eccellenti metodo classico, a dover aver paura che lo Champagne riprenda, anche nella fantasia e nell’immaginario degli appassionati, come vino cult per eccellenza, il posto che gli compete. Sono i vini più facili, che hanno avuto successo negli ultimi due anni soprattutto in funzione del prezzo più basso, del gusto più diretto (banale?) meno impegnativo, e che mai si poteva pensare potessero seriamente prendere il posto (soprattutto nella testa e sul palato dei competenti di vino) dello Champagne. Se l’import di vino in Italia riparte ed è lo Champagne a fungere da locomotiva non saranno certo i metodo classico di casa nostra, favoriti da una progressiva destagionalizzazione dei consumi , ad essere sacrificati… Scommettiamo?