Ho già trattato, su questo blog, qui, e su Vino al vino, qui , la questione, e non da poco, relativa al cambio di strategia sostanziale della grande winery based in Franciacorta Guido Berlucchi . Azienda che come raccontato dal suo patron nell’intervista che potete leggere nella sua interezza qui , ha convertito e convertirà sempre più la produzione della sua celebre Cuvée Imperiale (vero core business dell’azienda) da metodo classico (mi rifiuto di chiamarlo “spumante”) prodotto con uve provenienti da Franciacorta, Trentino, Alto Adige e Oltrepò Pavese in vero e proprio Franciacorta Docg, prodotto esclusivamente con uve (Chardonnay, Pinot nero e Pinot bianco, come previsto dal severo disciplinare di produzione vigente). Come ha detto il mio omonimo, il pioniere della Franciacorta e del Franciacorta come siamo ormai abituati a conoscerli, loro potrebbero già ora fare a meno delle uve provenienti dalle altre zone. E la quantità di uve che acquistano in terra oltrepadana e trentina si è già fortissimamente ridotta. Allora, di fronte a questo radicale cambio di impostazione, sul quale non possono mancare gli interrogativi (paradossalmente al cliente affezionato, una Cuvée Imperiale tutta franciacortina potrebbe piacere meno della Cuvée storica fatta con un mix calibrato di uve di diverse regioni: e allora sarebbe un bel problema…), oltre a chiedermi che fine faranno i moderni Centri di pressatura Berlucchi realizzati a Casteggio e a Lavis, se resteranno inutilizzati, se verranno venduti e a chi (fortunatamente essendo solo omonimo e non membro della famiglia si tratterà di problemi che non toccherà a me risolvere e affrontare..), mi sono posto una semplicissima domanda. Ma che fine faranno, in Oltrepò Pavese più che in Trentino , le uve che tradizionalmente venivano acquistate dalla Guido Berlucchi? Chi saranno gli utilizzatori di questa materia prima che non incontra più lo sbocco che ha incontrato per anni? Saranno altre aziende trentine e oltrepadane, e quali, oppure l’uva verrà acquistata da altri spumantisti che possono ora disporre di abbondante materia prima, di buona qualità (lo dimostra Bruno Giacosa, che con il Pinot nero comprato in Oltrepò Pavese produce il più buono dei metodo classico oltrepadani)? Mi sono interrogato e ho pensato che in Trentino quello Chardonnay potrebbe tranquillamente finire o alla Ferrari, che è un’azienda in salute, che si contende con la Guido Berlucchi la leadership (in termini di volumi, di numeri di bottiglie prodotte) del metodo classico di casa nostra. Oppure alle due grandi realtà cooperative, se queste dimostrassero di credere veramente alla tipologia del metodo classico e volessero crescere, cosa che da anni dimostrano di non aver intenzione di fare, rimanendo bloccati a numeri non importanti, in questa tipologia (alla Cavit sono molto più “attizzati” dagli Charmat , da uve aromatiche e non). Ma in Oltrepò Pavese, dove i produttori di bollicine metodo classico sono sempre gli stessi e girano strane voci sui vari Cruasé in commercio, chi potrebbe assorbire tutto quel Pinot nero base spumante? Non certo La Versa , che rivendica il primato di primo Blanc de noir d’Italia , e sfodera ben cinque cuvées, ma la cui produzione non sta mica crescendo di molto.. E nemmeno le altre grandi Cantine, quella di Casteggio (con il suo sito dallo stile Web 0.0), o quella di Broni (altro sito di rara antichità ) che di bottiglie di metodo classico ne producono pochine. Allora che fine faranno o hanno già fatto quelle uve? Ragionandoci sopra mi è venuta un’ideuzza, solo un’ipotesi beninteso, ma maliziosetta alquanto, nata dalla lettura di una recente news, che potete a vostra volta leggere qui , relativa a quella che viene definita come una “rivoluzione in Oltrepò Pavese”, decisa con il decreto ministeriale del 3 agosto 2010, che ha stabilito la nascita della Doc Casteggio e che “dalla Doc Oltrepò pavese si articolano cinque nuove Doc: Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc; Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese Doc; Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese Doc; Pinot nero dell’Oltrepò Pavese Doc; Oltrepò Pavese Pinot grigio Doc”. Ho letto a proposito di una Doc in particolare, Oltrepò Pavese Pinot grigio, questa spiegazione: “ Nuovo nome in etichetta contro la pirateria. Innalzate le rese produttive massime fino a 15 t/ha senza modificare il titolo alcolico minimo delle uve”. Beh aver gonfiato, pardon, portato a 150 quintali per ettaro (magari con la tolleranza del 20% di esubero, previsto in tante denominazioni) la resa per ettaro del Pinot grigio credo abbia dato a questo vino prodotto anche in Oltrepò Pavese la palma, non so quando ambita, di una delle denominazione pinotgrigiesche più generose dell’Italia tutta. Non quanto quella, generosissima, dell’Igt Delle Venezie, ma superiore a quella della Doc Valdadige Pinot grigio, o della Colli Orientali del Friuli Pinot grigio. O della Doc Lison Pramaggiore. Leggendo poi il generoso disciplinare dell’Oltrepò Pavese Pinot Grigio, ho letto che “deve essere prodotto con uve Pinot Grigio nella percentuale minima dell’85%, cui possono essere aggiunte uve Pinot Nero, Pinot Bianco, Riesling italico e Riesling renano, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%” e mi si è accesa una lampadina. Vuoi vedere, anche se non so esattamente di quanti ettari il Pinot grigio, oggi, non i 681 del 2006 (anno a cui è aggiornato l’albo vigneti presente sul sito Internet del Consorzio ) che vista la possibilità prevista dal disciplinare di accogliere fino al 15% di altre uve una fetta (quanto grande non so) di Pinot nero finirà nel contenitore del Pinot grigio? E che altre uve Pinot nero finiranno nella rinnovata Igt Provincia di Pavia che prevede 200 quintali per ettaro per Pinot nero e Pinot grigio (con il 15% di tolleranza di altri vitigni)? Se così fosse, non sarebbe di certo un finale tra i più gloriosi per quel Pinot nero per tanti anni nobilitato diventando parte importante della Cuvée Imperiale Guido Berlucchi…