Produrre ora un generico “sparkling wine” per introdurre allo Champagne?
Molto singolari le motivazioni, secondo quanto ci riferisce l’edizione on line della rivista britannica Decanter , addotte dalla celebre griffe francese Moet Hennessy , il grande marchio del gruppo LVMH , nel comunicare la decisione di piantare il suo primo vigneto (66 ettari) in Cina per produrre quello che nel linguaggio ufficiale del comunicato viene definito “a premium sparkling wine ”. Per questa inedita joint venture con la società a capitale pubblico Ningxia Nongken che si svolge nella regione autonoma di Ningxia Hui nel nord ovest della Cina, operazione che prevede la costruzione di una cantina di produzione adiacente ai vigneti, e la produzione in Cina di vini con il marchio Moet Chardon, si dice testualmente che “the deal will expand the country’s wine market by educating the public and wine producers in sparkling wine ”, ovvero che l’accordo espanderà il mercato del vino in questo Paese educando il pubblico ed i produttori di vino agli “sparkling wines”. E ci viene assicurato che questo vino sarà il primo… “méthode champenoise ”, se così possiamo definirlo prodotto in Cina. Capiamo benissimo le motivazioni, puramente di business, di questa operazione, che si è resa necessaria per la crescente richiesta di beni di lusso, vini di alta fascia compresi, in terra cinese. E sebbene il comunicato della Reuters che ha dato la notizia di questa joint venture racconta che “the first Chinese bubbly will come on stream in three years ”, ovvero che i primi vini cinesi con le bollicine prodotti saranno pronti nel giro di tre anni, crediamo che ci vorrà qualche anno di tempo in più, avendo cominciato a piantare ora i vigneti e dovendo prevedere, secondo tecnica champenoise (ed essendo escluso che si mettano a produrre… Prosecco…), una minima permanenza sui lieviti di un anno e mezzo.
Di fronte a questa notizia, viene piuttosto da chiedersi se davvero per favorire lo sviluppo delle vendite di un prodotto molto particolare come lo Champagne su un mercato nuovo, dove lo Champagne è tutto sommato poco noto e fa ancora piccoli numeri come la Cina, sia giusto scegliere di lavorare su un succedaneo dello Champagne, su un metodo classico generico, uno “sparkling wine”, il cui unico punto di forza è il marchio, e che non vanta alcun tipo di radicamento con la zona di produzione. Ma è davvero giusto, anche se, parafrasando Pascal, il business “a ses raisons quel la raison ne connait pas ”, che a fare questo sia non un produttore qualsiasi, ma una celeberrima Maison de Champagne?