Diciamolo subito, aveva proprio ragione Oscar Wilde: “i bei peccati, come tutte le cose belle, sono privilegio dei ricchi”. Però, come amava annotare lo stesso arguto scrittore, poeta e drammaturgo irlandese, se “l’unico modo per liberarsi da una tentazione é cederle”, allora, anche se lo Champagne di cui vi parlerò è una vera cuvée da happy few , perché se ne sono prodotte solo 6500 bottiglie (di cui 900 a disposizione per il mercato italiano) che costano, parola del suo importatore e distributore in Italia, Cuzziol , una cifretta importante come 180 euro più Iva (220 euro che una volta che la bottiglia finisce sullo scaffale di un’enoteca o su una carta dei vini al ristorante porta il prezzo a salire ulteriormente), vi consiglio, anche se di questi tempi difficili apparirà un po’ sventato farlo, di cedere alla tentazione e di regalarvene almeno una bottiglia. Perché questo Champagne Nec Plus Ultra 1996 della Maison Bruno Paillard , non è solamente buono, ma strepitosamente, clamorosamente, dirò di più, oltraggiosamente eccellente. Se poi aggiungete che a presentarlo a Milano ad un gruppo ristretto di fortunati (quorum ego), in coincidenza e apertura della Giornata Champagne organizzata dal C.I.V.C. lo scorso 4 ottobre è stata la giovane (beata lei!) e deliziosa Alice Paillard (nella foto), figlia di quel Bruno (classe 1953 e nativo di Reims) che fondò nel 1981 la maison che porta il suo nome e che ogni anno produce circa 500.000 bottiglie vinificando le migliori uve e solo attraverso la prima pigiatura, (da cui l’indicazione première cuvée in ogni etichetta dove inoltre è riportata fin dalla prima uscita la data di sboccatura), allora ecco spiegato come non sia solo possibile, ma inevitabile… “risquer l’émerveillement ”. Cuvée de prestige quant’altre poche il Nec Plus Ultra (locuzione latina riferita alle Colonne d’Ercole considerate come i limiti estremi del mondo, oltre i quali era vietato il passaggio a tutti i mortali, e quindi per esteso sinonimo del limite estremo, cioè il massimo, della perfezione, dell’eleganza, dell’arte con cui si è finito qualche lavoro), N.P.U. in etichetta, indica la volontà di superare qualsiasi ostacolo per creare il prodotto migliore, con un blend di grand cru realizzato solo in annate eccezionali. E difatti terza epifania della grandezza di questo vino il Nec Plus Ultra 1996 viene dopo il 1990 ed il 1995, quando parecchi millésimes sono stati invece già scartati perché ritenuti non sufficientemente “perfetti” per garantire il risultato finale voluto. Quindi solo una grande annata, le flamboyant millésime 1996, leggendario in Champagne, con maturità perfetta e sintesi mirabile tra maturità di frutto e acidità, e solamente uve di cinque villaggi del totale dei 17 villaggi Grand Cru, in questo caso Cramant, Chouilly, Verzenay, Bouzy, Mesnil sur Oger, che forniscono il 50% di uve Chardonnay e di Pinot nero utilizzate per la cuvée. E come dichiara la Maison Paillard un solo obiettivo: “produrre il migliore Champagne possibile”. Per farlo utilizzo solo di uve di prima pigiatura, fermentazione dei vini per 9 mesi in piccole botti, dosaggio ridotto al minimo. Questo 1996 che si consegna all’ideale abbraccio dei più esigenti e appassionati conoscitori di Champagne del mondo, arriva dopo una lunga e paziente e meticolosa attesa, 13 anni tra vendemmia e sboccatura e con altri 2 anni di riposo in bottiglia prima di essere messo sul mercato e senza alcuna variazione, ha assicurato Alice Paillard, nelle vinificazione tra le tre edizioni, 1990, 1995, 1996, del vino. Questa la genesi, la progettazione del vino, ma com’è questo Champagne? Se dovessi applicare alla lettera un celebre pensiero di Ludwig Wittgenstein che dice “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere “ , dovrei dirvi solo, provatelo. Oppure dovrei chiamare in causa Arthur Rimbaud laddove annota “J’écrivais des silences, des nuits, je notais l’inexprimable. Je fixais des vertiges ” ovvero “scrivevo silenzi, notti, notavo l’inesprimibile, fissavo vertigini”.
Però, ben consapevole dell’assoluta impossibilità di restituire, a parole, la grandezza di questo Champagne, e di rendervi le emozioni, legate alla sua complessità e alla sua assoluta armonia, che bere questo Champagne (due soli i bicchieri quelli da me gustati, ma di quelli memorabili, che si accampano nella memoria gustativa per rimanervi incollati per sempre), regala, proverò egualmente a dirvi perché l’abbia trovato incontournable per chiunque come me considera lo Champagne un vertice della sapienza enoica. Innanzitutto memorabile il colore, un paglierino dorato luminoso di splendente intensità, e poi la densità, quasi il “peso” del vino nel bicchiere, abbinati ad un perlage che più sottile, imprevedibilmente zigzagante nel bicchiere, continuo, finissimo, non si potrebbe. Naso di assoluta complessità e fascinoso mistero, fitto, compatto, con un accenno splendidamente controllato di maturità, che progressivamente si apre ad un trionfo di frutta secca, fieno e fiori secchi, agrumi canditi, ad un salato che sconfina quasi nel marino e nel salmastro, con una freschezza, una nitidezza d’espressione, una finezza che lasciano senza parole. La bocca conferma e amplifica ulteriormente questo quadro di complessità/eleganza, ricchezza ed esemplare chiarezza, grande equilibrio di tutte le componenti, con una perfetta combinazione tra maturità dell’uva e frutto e acidità, una piacevolezza estrema, un carattere morbidamente e setosamente secco, deciso, senza esitazioni, ricco di nerbo e di carattere, pieno e strutturato eppure dotato di una miracolosa impalpabile leggiadria, di una leggerezza d’accenti irreale, una coda lunga, salata, infinita piena di energia che percorre il palato e poi sembra esplodere nel cervello di chi beve, una giusta maturità che preannuncia anni e anni di vita ancora per questo giovanissimo quindicenne. Beva assoluta, inesauribile, e una grana sottile che titilla le papille e le mantiene in continua tensione. Un capolavoro assoluto uno dei quattro cinque più buoni Champagne da me mai gustati. Un vino che mi ha fatto venire in mente, non so perché, questo pensiero del filosofo scozzese del Settecento David Hume: “La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva”… E ricordando che Ovidio definiva “la bellezza un bene fragile,” gustando questo Champagne mi sono sentito forse migliore ma ancora più indifeso…