A proposito di un sondaggio sulle intenzioni di spesa degli italiani per fine 2011
L’ho detto chiaramente, in un articolo – leggete qui – con il quale chiudo, finita e non per scelta mia, la bella esperienza della cura delle news del sito Internet dell’AIS . Ma come si fa ad essere soddisfatti, ad indulgere in trionfalismi per le sorti dei cosiddetti “spumanti italiani ” (e soprattutto come diavolo si fa a parlare ancora, a fine 2011, di “spumante ” e “spumanti italiani ”?) quando secondo un’analisi della Cia, Confederazione italiana agricoltori , relativa alle rilevazioni “sulle intenzioni d’acquisto nel periodo natalizio” emerge che nel periodo natalizio “gli italiani privilegeranno la fascia dei vini tra 3 e 7 euro, lo spumante dolce (58%) sarà preferito al brut (37%) mentre un 5% sceglierà lo Champagne”? Anche a voler prendere in considerazione, con una valutazione molto ma molto ottimistica, il pensiero del responsabile dell’Osservatorio economico dei vini effervescenti Ovse , Giampietro Comolli, secondo il quale “si ritorna allo spumante italiano” e in Italia “il consumatore si è posto precisi limiti di spesa e la Gdo ha risposto con promozioni partite in ampio anticipo”, pur con la pioggia di offerte che la Grande Distribuzione sta proponendo, un po’ su tutta la gamma degli “spumanti ” in questo periodo, appare chiaro anche ai bambini che se davvero gli italiani hanno intenzione di “spendere soprattutto tra i 3 e 7 euro” possano bere grandi cose! Come potranno mai pensare di stappare le bollicine più ambiziose, ovvero quelle prodotte, un po’ in tutta Italia, in zone dotate di denominazioni d’origine come Franciacorta, Trento, Oltrepò Pavese, Alta Langa, con il metodo classico? Spendendo cinque euro di media potranno permettersi tranquillamente degli Asti Docg, una ricca scelta di Prosecco Doc e qualche Prosecco Conegliano Valdobbiadene Superiore Docg, ma è una pia illusione che possano aggiudicarsi, visto che in larghissima maggioranza costano molto di più, gli equivalenti italiani dello Champagne prodotti con la “méthode champenoise”. Un’evidenza, questa, che dimostra, una volta di più, che quando analisti, commentatori, cronisti del vino, parlano di grande successo, di exploit degli “spumanti italiani” si riferiscono – e allora dovrebbero fare delle chiare distinzioni semantiche – esclusivamente agli “spumanti” prodotti con il metodo Charmat. Che hanno i loro indubbi pregi qualitativi e legioni di estimatori, ma che non possono essere paragonati e messi sullo stesso “carro”, perché produrli è molto più facile ed economico, perché gli investimenti richiesti sono superiori, dei metodo classico. Ecco perché parlare ancora, a fine 2011, di “spumanti” e “spumante italiano” è un non senso, logico e lessicale, e un’informazione non corretta per il consumatore. Altro che “guerra” (da poveri o sbruffoni) allo Champagne!