La bocca della verità di questa settimana è quella del mio caro amico Giovanni Arcari from Brescia, che sul suo blog Terra uomo cielo , in un post che condivido dalla prima all’ultima riga e che potete leggere qui paragona la corsa alle bollicine cui si assiste un po’ in tutta Italia, da parte di “aziende che fino a ieri hanno prodotto tutt’altro in un territorio che di fatto non produce metodo classico e che continua, nel suo insieme, a non produrne”, alla merlotizzazione e cabernettizzazione che ha infestato i vigneti italiani dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. E la paragona al ragionamento confuso e pasticciato che ha portato fior di produttori, come al solito mal consigliati da winemaker spregiudicati, a produrre vini con le uve bordolesi anche in zone non vocate, perché tanto tiravano e venivano richiesti dal mercato. Lascio la parola ad alcuni estratti dell’articolo di Giovanni, che vi invito a leggere attentamente e mi chiedo, ma quale credibilità possono avere bollicine, metodo classico o semplicemente Charmat, prodotte in zone che non vantano alcuna tradizione con questa tipologia di vini e che a questa tipologia oggi si avvicinano, pensando di cavalcare un trend fortunato che sembrerebbe premiare il consumo di “bollicine”, per pura furbizia e calcolo oppure per disperazione? La parola ad Arcari. “Come dimenticare gli anni dell’euforia del vino quando l’italiano medio, abbagliato dall’eldorado del vino francese, pareva aver capito tutto e piantava cabernet e merlot anche nel ventre della moglie? La formula era semplice: nel Mondo si vende bordeaux, che è fatto con i due vitigni sopra citati quindi, pianto le stesse uve e vedrai che funziona! Ogni azienda nel listino aveva un merlot, un cabernet o un taglio bordolese. Nei territori in cui l’identità di prodotto non esisteva –e ancora non esiste- il fenomeno del “bordolese style” e della tendenza di mercato, ha fatto –e continua a fare- più vittime della peste. Tornando alla scelta di cosa e come produrre, non trovate che un fenomeno simile si stia prospettando anche nella produzione di metodo classico?”. E ancora: “Puglia, Sicilia, Marche solo per citarne alcune… oggi il mercato vede di buon occhio le bolle ed io sono sufficientemente curioso e pronto da degustarle allegramente tutte provenienti da ogni parte del globo ma, non credete che oltre a disorientare il consumatore che identifica il territorio con il prodotto e viceversa, il tutto possa finire com’è finito il “bordolese style” degli anni ’90, in altre parole con un costante inflazionarsi dell’identità dei territori e dei vini? Se negli anni ’90 era l’euforia del mercato a generare scelte che poi si sono rivelate fallimentari, oggi tali politiche le possiamo attribuire alla disperazione?”