A proposito di una recente proposta di Franco Ricci
Qualche ora dopo aver pubblicato l’appello del Presidente del Consorzio Franciacorta Maurizio Zanella a non utilizzare il termine generico “bollicine ” e a chiamare piuttosto “il vino con il proprio nome e non con termini che ne generalizzano e ne uniformano le peculiarità, appiattendone, di fatto, la qualità percepita”, visto che “bollicine” è un termine obsoleto e senza futuro”, ho scoperto, confesso di non essere un assiduo lettore di quelle pagine Web, che un analogo appello era già stato lanciato, il 16 marzo, su Bibenda 7 , dal presidente di A.I.S. Lazio Franco Ricci . In un articolo dal titolo Che noia che noia le “bollicine” . Nihil sub sole novum , nulla di nuovo sotto il sole, considerando che anche questo blog, in tempi precedenti, ha pubblicato altri appelli, questo ad esempio e poi questo , perché si evitasse di finire nel cul de sac di una definizione che non dice nulla – l’ho ripetuto giovedì sera a Treviglio conducendo una bella degustazione di metodo classico per l’Onav di Bergamo – quella che fa ricorso al termine “bollicine”. Prendendo visione di quanto ha scritto Franco Ricci – e che potete leggere qui – sono rimasto stupito che dopo aver giustamente definito il termine bollicine “abusato come non mai”, “sconveniente”, “nauseante per come viene ripetuto a iosa”, “brutto, barbaro, penalizzante, limitante, sgradevole” (per la serie aggettivi a gogò per tutti i gusti), arrivi ad una conclusione altrettanto penalizzante e limitativa. Anzi sorprendente, visto che arriva dal Presidente di A.I.S. Lazio, da uno degli uomini più in vista dell’A.I.S. nazionale, dall’inventore di quella formidabile macchina da comunicazione sul vino che porta i nomi di Bibenda, A.I.S. Roma, Duemilavini. Dirò di più, dal Presidente in carica della W.S.A., Worldwide Sommelier Association , associazione che si fregia di un nome inglese, ma che presenta un Consiglio direttivo totalmente italiano. A quale conclusione arriva Franco Ricci? Ecco quanto scrive: “Insomma, se proprio non ci riuscite a scegliere un altro termine chiamatelo col suo: SPUMANTE. Volenti o nolenti, la legge classifica questo vino – questo magnifico vino – come Spumante. Se non vi riesce di chiamarlo Franciacorta (…) beh… allora, chiamatelo – almeno – Spumante. E le bollicine lasciatele al morbillo e alla scarlattina. Il vino è una cosa seria”.
Ricci arriva a questa conclusione perché sostiene che “Gli uomini di Franciacorta non sono ancora riusciti a far passare il termine come Prodotto e Territorio. Ne ho sentiti e ne sento ancora parecchi chiamare i loro capolavori bollicine”. Non ho la presunzione, pur abitando a venti minuti dalla Franciacorta, e frequentando regolarmente e assiduamente le cantine franciacortine, di conoscere “gli uomini di Franciacorta” e di vantare la frequentazione che Ricci dice di avere con loro. Personalmente li ho sempre sentiti chiamare orgogliosamente i loro metodo classico Franciacorta e accogliere con entusiasmo la scelta consortile che porta all’identificazione virtuosa territorio – prodotto. Ovvero Franciacorta e basta. Mi stupisce che una persona intelligente come Ricci al posto delle insopportabili “bollicine” suggerisca di utilizzare un termine che non dice e non comunica nulla, che fa solo confusione, che non fa informazione utile al consumatore, come “spumante ”. Un termine – lo ricorda bene Zanella nel suo appello, quando ammonisce che “La similitudine tra ‘spumante’ e Franciacorta è da bandire in qualsiasi citazione” – che ha l’insano potere di mettere nello stesso confuso e indeterminato contenitore prodotti profondamente diversi, dal punto di vista della metodologia produttiva, delle uve utilizzate, dei costi di produzione, dei prezzi di vendita, della modalità di utilizzo a tavola, dell’immagine, del blasone e del prestigio, come i vari metodo classico a denominazione d’origine prodotti in Italia ed i metodo charmat. E poi gli “spumanti” generici, che non hanno storia e tradizione, che spesso sono di livello qualitativo dubbio. Lo so bene che da un punto di vista meramente legislativo e di definizione merceologica sia metodo classico che Charmat sono riconducibili all’identica categoria di “spumanti”, ma credo che la comunicazione, anche quella fatta via Internet, mediante quella Rete nella quale, secondo Ricci , “molto spesso s’incontrano avventurieri del giornalismo, istrioni della comunicazione e blogger improvvisati”, non debba appiattirsi sul mero dettato della legislazione vinicola e debba invece fare chiarezza. Con originalità e fantasia e capacità di farsi capire. Doti di cui il presidente di A.I.S. Lazio dispone ampiamente.
E debba aiutare il consumatore a distinguere, cogliere le differenze, che sono reali e cospicue, ad abituarsi a chiamare i prodotti, soprattutto quando sono dotati di denominazioni specifiche, con il loro nome. Senza confusioni. Credo pertanto, senza aver la pretesa di insegnare a Franco Ricci il proprio mestiere, che conosce molto bene – secondo Trentino wine blog , è “un uomo simbolo della comunicazione del vino in Italia. A cui l’Italia del vino dovrebbe fare un monumento in ogni città”, credo che si possa evitare, dal punto di vista della chiarezza, soprattutto quando si mettono in nomination e si premiano tre Franciacorta, nella categoria “miglior vino spumante” degli Oscar del vino 2012 , di definirli banalmente e riduttivamente “spumanti”. Ricorrendo ad un termine, che spesso designa anche vini che metodo classico non sono, che i produttori di Franciacorta tutti ed il Consorzio che li rappresenta aborrono e rifiutano. Come ha ricordato il loro Presidente Zanella nell’appello di venerdì 27 aprile nonché in una precedente presa di posizione dove diceva testualmente che “il sostantivo “spumante” è morto e non ha più senso utilizzarlo in questi e molti altri frangenti”, il Franciacorta va chiamato Franciacorta e basta. Senza banalizzarlo, essendo “il vino è una cosa seria”, definendolo come bollicine. Ma senza nemmeno fare confusione e soprattutto utilizzare una comunicazione confusa e pasticciona, chiamandolo “spumante”.