L’ho già scritto, plaudendo ad un post del mio amico Giovanni Arcari , che la “corsa allo spumante”, cui si assiste un po’ in tutta Italia, anche da parte di “aziende che fino a ieri hanno prodotto tutt’altro in un territorio che di fatto non produce metodo classico e che continua, nel suo insieme, a non produrne”, avrebbe fatto danni e che questa corsa alle “bollicine ” che nel nome della moda e del fatto che questa tipologia di vino sembra soffrire meno di altre della crisi rischia di avere, ai tempi nostri, lo stesso effetto negativo che hanno avuto la merlotizzazione e la cabernettizzazione che hanno infestato i vigneti italiani dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Poco conta che si producano “spumanti” invece che con le classiche uve Chardonnay e Pinot nero con una miriade di uve autoctone, alcune con buona vocazione “spumantistica”, altre decisamente meno. E questa idea, favorita anche dai disciplinari di tantissime Doc italiane, che prevedono una tipologia “spumante”, sta facendo nascere un sacco di vini “spumeggianti”, prodotti non solo con il metodo Charmat ma con il più impegnativo metodo classico, anche in zone che non solo non hanno alcuna storia spumantistica ma la cui immagine mai verrebbe voglia di abbinare a quella di uno “spumante”. Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, passando per Toscana, Umbria, Abruzzo, Campania, è tutto un fiorire di vini che cercano di inserirsi e conquistare un piccolo posto al sole nella fortuna commerciale degli “spumanti”. Poteva forse restare fuori una regione di grande importanza come la Sicilia da questa corsa alle bollicine? Sicuramente no. E anche se è davvero arduo pensare alla terra del Nero d’Avola e del Marsala come terra di produzione di Charmat e metodo classico, ecco aumentare ogni anno il numero delle aziende che si cimentano con questa particolare tipologia. Si parla di una ventina di aziende siciliane che spumantizzano e di una produzione intorno alle seicentomila bottiglie. E così dopo aziende come Milazzo , Fazio , Tasca d’Almerita e sul versante di quel mondo del tutto particolare che è l’Etna, Benanti , con il suo Noblesse, e Tenuta San Michele Scammacca del Murgo , poteva forse esimersi dal dire la sua sulle “bollicine” un’azienda nota, da tempo riconvertita alla causa delle uve autoctone ed identitarie, come Planeta ? Non sia mai ed ecco, vino che ufficialmente non dovrebbe essere ancora in commercio, un Brut metodo classico da uve Carricante coltivate sull’Etna presso Sciara Nuova e rimasto sui lieviti per un periodo variante tra i 14 ed i 18 mesi. Trovandomi recentemente a Palermo ho avuto la ventura di vedermelo servire, etichetta e collarino giocate su un azzurro molto chiaro, in un ristorante wine bar del centro dove mi è capitato di pranzare. Rimanendo però, anche se in questi casi si dovrebbe essere comprensivi e magari sospendere il giudizio, attendendo che l’azienda si faccia la mano su questa particolare tipologia di vini, tutt’altro che entusiasta. Bella e legittima l’idea di produrre un metodo classico dalla grande uva bianca che ci regala i fantastici bianchi dell’Etna, il Carricante, ma anche se alla Planeta avranno sicuramente fatto fior di prove e sperimentazioni prima di uscire in commercio con questo loro primo Brut, la conferma che, ahimé, spumantisti non ci si può improvvisare. Anche se, come ho letto cercando sul Web (sul sito di Planeta non c’è traccia di questo Brut) ci si avvale della consulenza di un grande produttore di metodo classico di montagna come l’ottimo Joseph Reiterer, ovvero la piccola azienda Arunda/Vivaldi di Meltina a 1200 metri sopra Terlano. Bello il colore, un paglierino oro carico intenso, ma nessuna traccia del perlage fine che hanno decantato persone che hanno assaggiato di recente in anteprima il vino, e soprattutto ben poche testimonianze di fragranza, freschezza, di quel carattere minerale che sarebbe lecito attendersi da un metodo classico dell’Etna. Al contrario ho colto un naso abbastanza maturo, pieno, solare, compatto, intensamente vinoso, con accenni di tostatura e nessuna di quelle note sapide, petrose, essenziali, ma ricche di nerbo, che solitamente sciorinano i migliori bianchi del vulcano. Altrettanto vinosa, ricca, strutturata, piena, la bocca, molto compatta e matura, larga, ma soprattutto sorprendentemente carente di nerbo e sale, con un’acidità contenuta e con un’impressione tattile, sul palato, di trovarsi di fronte non ad un vino con le bollicine , ad un metodo classico, ma ad un vino fermo. Il che non mi sembra davvero il massimo, considerando il nome del produttore, il valore dell’uva e l’importanza della zona di produzione. Che abbia ragione chi assaggiando il Brut ha annotato: “Bollicine che hanno bisogno di tempo per svelare il loro potenziale e il comportamento del vitigno scelto”? Spumantisti metodo classico di qualità, anche se ci si chiama Planeta, non si diventa di certo dall’oggi al domani…