Nel mondo del vino esiste una variante ancora più da puzzetta al naso e birignao e boccuccia a cuore di quello “snobismo anti-franciacortino” cui ho recentemente dedicato un post che ha fatto abbastanza discutere . E’ una variante, un po’, consentitemi il termine non proprio raffinato, da “eno-sboroni ”, (ne conosco diversi del genere, che scrivono e imperversano facendo danni, naturalmente dandosi un tono da “esperti” e palati fini, su wine blog et similia), che quando parlano di vino danno l’impressione di detenere solo loro la verità (come se il vino non fosse invece qualcosa di soggettivo legato al gusto personale) e di sapere, senza dubbi ed esitazioni, quanto sia valido e quanto invece sia cheap . Questa forma di snobismo porta naturalmente a parlare bene di un’azienda portabandiera della Franciacorta come la Cà del Bosco e delle sue “bollicine ”, solo a patto che si tratti delle cuvée più esclusive come l’Annamaria Clementi, oppure di quel trio di formidabili vini, in genere i miei preferiti, che sono il Brut, il Satèn, il Dosage Zero millesimati. Ma porta ad adottare il tipico sorrisetto di compatimento, come per default, quando il discorso cada sul Franciacorta più importante in termini quantitativi quindi più facilmente rintracciabile in circolazione, ovvero la Cuvée Prestige . Se si vuole essere uomini di mondo, se si vuole convincere l’interlocutore di trovarsi di fronte a qualcuno che di vino, perdiana!, ne capisce, la stroncatura senza mezzi termini, fatta senza possibilità di appello, anche con una certa violenza verbale, è automatica. Poco conta ricordare a questi “saputelli”, che magari non hanno problemi a giudicare come ottimi vini prodotti da mega aziende, grandi cantine sociali, oppure vini prodotti in quantitativi rilevanti, che questa Cuvée, prossima al milione di bottiglie prodotte, rappresenti l’80% del business di Cà del Bosco. E che sarebbe davvero da stupidi, visto che questo vino ha successo e porta utili produrlo con una filosofia del tutto diversa da quella che porta a produrre gli altri Franciacorta. L’eno-snobismo un po’ fighetto, quello che porta a definire questa Cuvée Prestige “roba da banchetti” o “vino da Santa Margherita” (come se gli altri vini, quelli “giusti”, fossero prodotti da un’altra azienda e non dalla stessa che fa parte del celebre gruppo veneto leader del Pinot grigio) non accetta discussioni. Quel vino, secondo loro, è Cà del Bosco “per modo di dire”, anche se la sua esistenza consente alla casa di Erbusco di produrre quegli altri Franciacorta, eccellenti e talvolta eccezionali, che fanno sdilinquire gli eno-sapienti. Io stesso, non sarebbe giusto se non lo confessassi, sono rimasto per qualche tempo vittima di questa forma di aprioristica preclusione e pur essendo un Dosage Zero o Brut CdB fan, e un forte estimatore della Cuvée Annamaria Clementi, non posso dire di essere stato un regolare e affezionato consumatore di questo Prestige. Un Franciacorta prodotto con un mix ragionato di Chardonnay 75%, Pinot Bianco 10%, Pinot Nero 15%, provenienti da 131 vigne, di età media di 21 anni, e con una resa media per ettaro di 9.000 chilogrammi / 5.800 litri, e con una vinificazione che prevede che i vini base, vinificati separatamente in base alla loro diversa origine, dopo la prima fermentazione alcolica maturano per 8 mesi in vasche d’acciaio termocondizionate. In seguito sono sapientemente assemblati a nobili vini di riserva delle migliori annate (almeno il 20%) per formare la Cuvée. Questa particolare tecnica conferisce alla Cuvée Prestige, che si affina per 25 mesi sui lieviti, una peculiare personalità, che fa sì che il vino piaccia così tanto (tranne che agli eno-snob) e si faccia bere con grande piacevolezza in ogni contesto. Nel corso di una mia recente visita a Cà del Bosco e di una lunga chiacchierata con il suo bravissimo enologo, ho chiesto a Stefano Cappelli di far iniziare la mia degustazione proprio con questa Cuvée Prestige, una bottiglia ottenuta con una base (almeno 70%) di uve dell’annata 2009, con un 30%, affinato in legno da 6 a 10 mesi, di uve delle annate 2006, 2007, 2008. Un Franciacorta multivintage dunque, con 5 grammi zucchero per litro e acidità di 6,2, che ho trovato molto più complesso e ben fatto e soddisfacente di quanto gli eno-snob, magari senza averlo degustato, considerino stroncandolo a priori, forti di un palato che ritengono, bontà loro, particolarmente raffinato e superiore a quello dei tanti che la Cuvée Prestige, con la sua bella bottiglia bianca trasparente, che fa indubbiamente la sua bella figura e ha un certo appeal, bevono senza tante storie. Colore paglierino oro molto brillante, stupisce con la finezza e la continuità spumeggiante del suo perlage piuttosto fine, per un naso molto aperto, fragrante, diretto, di notevole intensità aromatica, ricco e compatto, molto fruttato, con note di agrumi e mela e pesca bianca in evidenza. La bocca, com’è ovvio e comprensibile attendersi da un vino che deve piacere al primo impatto, che è “progettato” per farsi bere, è molto morbida, rotonda, cremosa il giusto, con una bolla leggera piacevolmente croccante e non aggressiva, una interessante consistenza vinosa e una moderata naturale dolcezza (nessuna traccia di piacioneria o di ruffianesca dolcezza), con la stessa fruttuosità che si coglieva nei profumi e una buona persistenza. E per non farmi mancare niente, per apparire ancora più bieco agli occhi degli eno-snob anti-franciacortini, più “servo del capitale” e quindi meritevole degli strali di “contestatori” e anonimi in vena di… zaccate…, mi sono concesso anche la versione Rosé della Cuvée Prestige, sempre con uve Pinot Nero 75%, Chardonnay 25%, (Chardonnay scelto per temperare l’impatto un po’ aggressivo del Pinot nero) provenienti da 24 vigne di 31 anni di età media, prodotta con una tecnica che “prevede la vinificazione separata delle uve di Pinot Nero e di Chardonnay. Le uve di Pinot Nero, una volta separate dai raspi, vengono trasferite per gravità all’interno di tini dove viene condotta per 24 – 48 ore una breve macerazione: soltanto poche ore per “cogliere l’attimo”, per ottenere cioè quella particolare e delicata sfumatura di colore rosa che distinguerà il Franciacorta Rosé in bottiglia. In seguito il mosto, separato dalle bucce, fermenta in tini d’acciaio a temperatura controllata. Le uve di Chardonnay vengono invece vinificate in modo tradizionale: dopo la pressatura dei grappoli interi, le diverse frazioni di mosto fermentano separatamente in tini d’acciaio a temperatura controllata. Dopo 8 mesi di affinamento si procede alla creazione della cuvée, assemblando i vini base di Pinot Nero con i vini base di Chardonnay”. 30 mesi di permanenza sui lieviti per una produzione di 30 mila bottiglie. Salmone occhio di pernice – melograno il colore, di grande brillantezza e bellissimo impatto visivo, perlage sottile e continuo, il Rosé si propone con una nitida finezza aromatica, con agrumi in evidenza, soprattutto pompelmo rosa, accenni floreali, di fragole di bosco e lamponi, a comporre un bouquet più fresco e fragrante che carnoso. Molto fresca la bocca, che si allarga progressivamente e conquista il palato con bella polpa succosa morbida e non aggressiva, con una moderata vinosità e una rotonda piacevolezza che facilita la beva e ne consiglia il servizio anche come aperitivo. Davvero niente male queste due Cuvée Prestige di Cà del Bosco: e adesso chi glielo va a dire agli iperciliosi, malmostosi e un po’ acidi enosnob anti-franciacortini?