Cavoli eppure il periodo delle feste, dei grandi brindisi, delle abbondanti libagioni (e bevute) è passato! A leggere certe esilaranti cronache non sembrerebbe però… Allora visto che oggi è lunedì e ricominciare la settimana è sempre faticoso (dicono) voglio farvi un regalo e farvi cominciare sorridendo, commentando una “notizia” (parola grossa) che arriva da quella prestigiosissima testata (nel muro) che è la versione Web della rivista orobica Lombardia, pardon, Italia a tavola .
Una creazione di quel celeberrimo (dai, non esageriamo) virtuoso di Internet, inteso come collage di comunicati stampa, articoletti senza pretese e tanta pubblicità, che corrisponde al nome di “Arsenio Lupin” Alberto Lupini. Uno che conosco dai tempi, lontani ormai, del mitico Liceo scientifico Filippo Lussana, quando il nostro era un attivista del G.I.P. Gruppo di Impegno Politico, ovvero i giovani della Balena Bianca, la D.C.
Cosa leggiamo in questa “breaking news”? Che due produttori orobici, alias bergamaschi, ovvero i fratelli Franco e Marco Plebani della celeberrima azienda Il Calepino di Castelli Calepio, hanno avuto una pensata geniale, la creazione, manco fossimo in Sicilia, dove una Doc regionale del genere l’hanno creata, di una denominazione “Lombardia” per i vini lombardi.
I Plebani sostengono “la necessità di allargare ad aree più vaste la denominazione dei vini e di conseguenza anche la promozione e la comunicazione. Contrariamente a quanto succede in altre parti del mondo, ad esempio in Francia e Spagna, dove viene pubblicizzato un intero territorio o un nome unico (vedi Champagne, Cava o Bordeaux), qui da noi si va avanti con le forze di ogni singolo produttore o piccole microzone. Ma come possiamo presentarci al mondo pubblicizzando Castelli Calepio piuttosto che Capriolo o Valcalepio o Garda Classico?”.
E il ragionamento procede osservando, non senza qualche ragione, che “in una comunicazione mondiale, occorre che le aziende e le zone si identifichino in una parola sola, in una macrozona, dentro la quale poi si passerà a illustrare le sottozone, ma il primo impatto del consumatore mondiale deve essere con una zona allargata ben identificabile da tutti”.
Il meglio del “lodo Plebani” deve però arrivare e arriva puntualmente quando alla domanda “voi producete soprattutto spumante metodo classico. Vi sentiti intimoriti di fronte ai cugini di Franciacorta?” i proprietari del Calepino, produttori di quattro metodo classico che sono presenze costanti nelle carte dei vini di ogni ristorante dotato di un filo di ambizione qualitativa, dimostrando una lunare (o forse solo orobica) visione della realtà rispondono: “I produttori di Franciacorta vanno rispettati per quello che hanno saputo fare, noi abbiamo i vigneti confinanti, rappresentiamo solo noi stessi e siamo riconosciuti per l’elevato livello qualitativo dei nostri spumanti che produciamo dal lontano 1978.
Penso che il mio discorso prenda forza e valenza soprattutto nel caso dei vini spumanti: unire le forze di tutti i produttori per avere sul mercato un elevato numero di bottiglie di alta qualità. Ed ecco allora che con la proposta di creare il marchio “Lombardia Spumanti”, potremmo aspirare a diventare la “Champagne Italiana”. Avere un denominatore comune non significa rinunciare alle singole identità del Franciacorta, dell’Oltrepò, del coming-soon Colleoni. Forse sarò un visionario ma penso che mai come in questo momento la formula vincente sia l’unione che fa la forza e anche la comunicazione più efficace”.
A parte il fatto che andare a proporre ai franciacortini di utilizzare un improbabile marchio “Lombardia Spumanti” vuol dire sentirsi puntualmente rispondere, con accento bresciano, “Ma va’ a scuà ‘l màr !”, e aspirare di essere “la Champagne Italiana” significa pensare vecchio, con vecchissimi, superati e provinciali sistemi di pensiero. Quelli che avevano portato all’illusione di trovare “un nome comune per il metodo classico italiano” naufragata nella fallimentare operazione Talento .
Ma a questi Plebani di Castelli Calepio, provincia di Bergamo, Italia, e ai loro zelanti sponsor di Italia a tavola hanno mai spiegato che se Franciacorta ed Oltrepò Pavese (ma il discorso vale anche per il Trentino del Trento Doc) stanno acquistando un’identità come zone produttrici di metodo classico di qualità è perché stanno puntando sul nome della loro zona di origine e non su un generico nome di regione? Gli hanno spiegato che arrivano a farsi conoscere e riconoscere perché rifiutano, il discorso vale in particolare per la Franciacorta, di chiamare e far chiamare banalmente le loro “bollicine ” metodo classico come “spumanti ”?
Ecco perché quella di un marchio “Lombardia Spumanti ” è una proposta, indecente, francamente impresentabile e irricevibile…
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