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Ovvero: se questo è il miglior metodo classico italiano Berlusconi è gay e di sinistra
Metti una sera a cena, la tua lei più splendida e affascinante che mai, il mondo lasciato fuori dalla porta, un buon piatto di pesce con verdure che ti aspetta caldo in pentola, l’atmosfera giusta per passare, insieme, ore serene e felici. To have fun and enjoy, come direbbero quelli che hanno fatto le scuole giuste.
Allora che fai, vai in cantina e tiri fuori la bottiglia importante che avevi tenuto da parte per la grande occasione. Non il solito banalissimo e prevedibile Champagne, non un Franciacorta prodotto da quei tondinari di industriali bresciani, ma, perbacco!, nientemeno che il “Tre Bicchieri e premio bollicine dell’anno nella guida Gambero Rosso Vini d’Italia 2013”, ovvero il Riserva Aquila Reale Millesimato 2005 della premiata ditta Cesarini Sforza. Quella che ha come direttore generale nientemeno che Rappo Luciano, già co-fondatore del Wein Festival di Merano poi per alcuni anni in Cavit dove ebbe ad occuparsi della valorizzazione dell’immagine del marchio e della promozione della qualità dei suoi prodotti.
Cerchi di spiegare a lei, un po’ delusa perché hai preferito un italiano, pardon, un trentino, allo champenois francese che lei tanto ama, ed il privilegio che le concedi facendole degustare la crème de la crème trigamberescamente parlando del metodo classico italico, e le racconti, con voce suadente, cercando di essere convincente, che la “Riserva Aquila Reale Millesimato è ottenuta da uve Chardonnay provenienti interamente dall’antico Maso Sette Fontane in Valle di Cembra in Trentino, un terreno a 500 metri d’altitudine dedito fin dal 1734 alla produzione di uve pregiate”, che è un Blanc de Blanc 100% Chardonnay, che si tratta di un terreno detritico leggermente calcareo, non molto profondo, franco sabbioso, ben drenato.
E poi cercando di vincere il suo leggero scetticismo, le snoccioli i dati tecnici, ovvero che la fermentazione avviene in acciaio inox 50%, in legno di varie età 50%, che la conservazione e la malolattica è negli stessi recipienti di fermentazione con i propri lieviti e bâtonnage settimanali, che la maturazione sui lieviti è di ben 72 mesi, ovvero sei anni, che la liqueur d’expédition è costituita da vini di riserva conservati in legno, che trattandosi di un Brut sono 6 e mezzo i grammi litro di zucchero. E poi cerchi di catturare il suo consenso dicendole che diamine, è la bollicina che Marco Sabellico ed Eleonora Guerini e magari Gianni Fabrizio, mica tre blogger dell’ultima ora, hanno in assoluto prediletto lo scorso anno.
Lei ti ascolta paziente, mentre stappi con tutte le cure la bottiglia, controlli il tappo, praticamente perfetto, anzi esemplare, versi il vino nei due ampi calici, niente flûte ovviamente, pronta ad entusiasmarsi, pronta a dirti grazie per la scelta fatta. Pronta a…

Poi il disastro. Come un cielo splendente che si rannuvoli all’improvviso, una volta lasciato a lei il piacere del primo assaggio, ecco apparire sul suo viso luminoso l’ombra della perplessità e della delusione, un vago sospetto che le tue capacità di degustatore e la tua fama di “esperto” siano francamente immeritate, e l’idea divorante (e molto pericolosa per te) che non ci si possa fidare di uno che dice di essere innamorato di te, che ti dice di volerti per sempre accanto a sé, ma poi, per una serata speciale non sa scegliere il vino giusto. E te ne propone uno che andrebbe bene, ma solo per un funerale.
Bello il colore, paglierino oro squillante, di grande luminosità e vivace e non molto sottile ma grossolano il perlage nel bicchiere, anche se continuo e abbondante e dall’andamento zigzagante. Ma basta il primo contatto olfattivo per cadere in un universo che di luminoso, di esemplare, di elegante non ha assolutamente nulla, manco ad essere generosi come sa esserlo il Berlusca con le sue amate giovani olgettine.
Un naso monocorde, compatto, intensamente vanigliato, dove l’unica variazione avviene tra la componente dolciastra, legnosa e quella verde-pungente, senza alcuna finezza ed eleganza, e nessuna traccia, manco a cercarla con il binocolo, di quella freschezza, mineralità, leggerezza che sarebbe lecito attendersi da uno Chardonnay di montagna, proveniente da quella Valle Cembra che offre uve che altre aziende, meno blasonate e mediatiche e con meno santi in paradiso, sanno valorizzare.
Ancora peggio il gusto, molle, pesante, senza sfumature né profondità, statico, senza scatto, senza nerbo né freschezza, compiaciuto del proprio essere massiccio e concentrato, come un ginnasta palestrato che mostri con orgoglio i muscoli un po’ abnormi cresciuti a colpi di anabolizzanti. Dolciastro, tutto frutta stramatura e legno, tanto legno troppo legno, il palato, amaro e letteralmente invaso e devastato da questa inutile ostentazione di muscoli e di materia informe, e, cosa ancora peggiore, serata andata letteralmente a remengo.

E la piacevolezza, direte voi, il “gusto schietto, sapido e lungo” di cui si parla nella scheda tecnica del vino presente sul sito Internet? Una piacevolezza pari a quella che potrebbe regalarvi la donna triste che la malasorte vi facesse trovare nel vostro letto, una di quelle rosannine algide che mentre “si concedono”, di malagrazia e con la morte nel cuore, recitano come una triste giaculatoria “non lo fo per piacer mio ma per dar dei figli a Dio”, la stessa gioia che potrebbe darvi una serata trascorsa in compagnia di Rosy Bindi, Mariastella Gelmini e di Roberta Lombardi, capogruppo del Movimento Cinque Stelle alla Camera. Roba da suicidio o da ritiro in convento.
Di fronte a tanta eno-desolazione, ad un’assoluta impossibilità di bere questo vino, parte un semplice interrogativo: com’è possibile che questo metodo classico tanto modesto, privo di vitalità, noioso, borioso e prevedibile si sia aggiudicato i “Tre Bicchieri ed il premio bollicine dell’anno nella guida Gambero Rosso Vini d’Italia 2013”?
Io, che se questo è davvero un grande vino sono gay, comunista e juventino, che se questa è la migliore “bollicina” dell’anno allora Silvio Berlusconi è casto e non gli piacciono le ragazzine, e se fossi un produttore di metodo classico di qualità mi incazzerei e di brutto per questo premio, perché offensivo del mio lavoro, una certa idea di come siano andate le cose me la sono fatta, e voi?

P.S.
Impietositasi per la mia défaillance (solo enoica per fortuna) la mia dolcissima metà ha avuto una brillante pensata. Lasciandomi con gli occhi fissi nel vuoto per lo sbalordimento se n’è scesa in cantina tornando con una “banalissima” bottiglia francese, un Brut Premier Cru, prodotto in quella terra dove quelli di Cesarini Sforza dovrebbero andare in pellegrinaggio per imparare cosa sia un grande champenois, un vino che ne stappi una bottiglia e ne berresti due. Quale sia stato lo Champagne che ha salvato la serata e la mia credibilità di eno-esperto (quella bottiglia l’avevo regalata io a lei…), lo leggerete prossimamente su questi schermi.. Prosit!
P.S.
Da qui al 18 aprile, data della prima votazione, sosterrò la candidatura a Presidente della Repubblica di Antonio Martino, economista, liberale, indipendente, persona seria e perbene che sono certo sarebbe un impeccabile Presidente di tutti gli italiani
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Attenzione!
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