FOR ENGLISH VERSION CLICK HERE
Ho letto con grande interesse l’ampio articolo – che potete leggere qui – pubblicato poco più di una settimana fa su un quotidiano importante come La Stampa di Torino, dedicato ai giovani rampolli, che ormai sono cresciuti e fanno sul serio e sono arrivati ai posti di comando, della famiglia Lunelli . I cugini (ritratti nella foto sopra) Camilla, Alessandro, Matteo e Marcello Lunelli che hanno ognuno compiti di grande responsabilità all’interno delle Cantine Ferrari di Trento. Una realtà produttiva importante che è non solo il leader, o “l’azionista di maggioranza”, come mi piace chiamarla, della denominazione che designa i metodo classico prodotti in provincia di Trento, ma uno dei due soggetti più importanti (l’altro è la franciacortina Guido Berlucchi ) dell’intero panorama italiano dei vini prodotti con la tecnica della seconda fermentazione in bottiglia. Intervista molto stimolante quella ai componenti della terza generazione della famiglia Lunelli, da cui apprendiamo, ad esempio, l’esistenza di veri e propri “patti di famiglia”, in altre parole “una carta costituzionale interna, con regole ben definite: porte chiuse in azienda a mariti e mogli, mentre per gli eredi che vorranno continuare la tradizione è previsto un percorso con tappe obbligate su corso di studi, conoscenza delle lingue, esperienze professionali all’estero in altri settori”. E poi l’essere le Cantine Ferrari una realtà aperta, che ha “allargato il consiglio a esterni come Lino Benassi e Innocenzo Cipolletta” e che ha come uno degli obiettivi “cercare di attrarre talenti in azienda, anche pensando alla sfida dei mercati esteri”. E quindi il progetto, a lunga scadenza, di cui vorremmo saperne di più, di un “nostro nuovo vigneto biologico, che richiederà 20 anni per dare risultati”, perché come dice Marcello Lunelli “innovazione per noi vuol dire rispettare un protocollo di agricoltura sostenibile, vuol dire bandire la chimica e avere uve non solo di alta qualità, ma anche coltivate con tecniche che tutelino la salute del contadino e in vigne magari attraversate da piste ciclabili. Vigne in cui seminiamo piante erbacee le cui foglie diventeranno concime e in cui diffusori spargono feromoni che creano confusione sessuale agli insetti che attaccano la vite per impedirne la riproduzione. Un bel salto rispetto ai pesticidi”. Leggiamo poi, sempre in questo bell’articolo firmato da Luca Ubaldeschi, che in casa Ferrari hanno la precisa volontà di aumentare l’export, arrivando “a vendere all’estero 1 milione di bottiglie all’anno rispetto alle 600 mila di oggi. Negli ultimi anni cresciamo del 20-30%. I nostri primi mercati sono Giappone e Germania, poi Usa, Svizzera, Inghilterra. La sfida per noi oggi si chiama Russia, Cina, Brasile – e perché no? – magari Nigeria”. Di fronte ad un export che cresce un mercato interno che segna il passo, il Lunelli dal ruolo più “pesante”, ovvero Matteo, sostiene che “fortunatamente le bollicine hanno retto meglio di altri vini. Sono un prodotto moderno, giovane, si abbina facilmente. Certo, è forte la crisi di un canale importante, quello di bar e ristoranti. Nel 2012 c’è stato un calo del 10%, quest’anno speriamo di chiudere in pari. Fortunatamente, abbiamo la solidità necessaria per guardare al futuro con serenità”.
Tutto bello, ma non vi sembra che in questa celebrazione della Ferrari e dei suoi prodotti manchi qualcosa? Certo che manca, ed è un chiaro accenno al contenitore che accoglie “le bollicine” Ferrari, come le chiama Matteo Lunelli, prodotte dall’azienda, diventate negli anni uno dei simboli del “brindisi degli italiani”, alla denominazione che ha nella Ferrari l’azienda più nota e importante, quella più di qualsiasi altra in grado di veicolarne il nome ed il valore aggiunto. Parlo di quella Doc Trento e di quel marchio TrentoDoc , che, piaccia o non piaccia, è sinonimo di Ferrari, anche se i suoi protagonisti sembrano spesso dimenticarsene. Per fortuna in questo caso qualcuno della famiglia, Camilla, responsabile di comunicazione e rapporti esterni e figlia del “papà” del Giulio Ferrari, l’ottimo Mauro, si è ricordato, anche se per onor di firma e proprio alla fine dell’intervista, di nominarla, dichiarando: “Pensi alla nostra Doc, la Trento: è stata la prima in Italia dedicata al metodo classico. All’inizio eravamo noi, oggi siamo 40 aziende. Un sistema che cresce, con vantaggi per tutto il territorio”. Sagge parole, donna Camilla. Ma se quello del Trento Doc è davvero, come lei dice, un sistema virtuoso, in crescita, che crea vantaggi e valore aggiunto per tutta l’area di produzione, per tutto il Trentino, perché mai voi terza generazione dei Lunelli, giovani aperti più dei vostri padri e zii alla necessità di comunicare e di farlo in modo chiaro, perché non ne fate il tema centrale del vostro modo di presentarvi al mondo intero e preferite invece, basta vedere le parole che appaiono sulla facciata con vista autostrada delle vostre cantine, presentarvi come produttori di “spumante” (o spumanti), di metodo classico o “bollicine”? Perché non fate partire voi, che ne siete i principali protagonisti e motori, un forte e orgoglioso meccanismo di rivendicazione del Trento Doc inteso come simbolo della migliore produzione vitivinicola trentina?
___________________________________________________________
Attenzione! non dimenticate di leggere anche Vino al vino
http://www.vinoalvino.org/