Appello per un’azione di comunicazione comune
E’ già partita, in fondo siamo ad inizio ottobre, in avvio di quel trimestre che è cruciale, anzi decisivo per le vendite (ed i consumi) in Italia, la campagna di “informazione”, se così vogliamo definirla, che ci porterà puntualmente da qui a fine d’anno a sentire parlare di “storico sorpasso dello spumante italiano sullo Champagne”, di “spumanti italiani in grande crescita”, di “bollicine che trainano il comparto del vino italiano”, in Italia e all’estero, e altre amenità.
Uno dei segnali di questa operazione, condotta spesso con il sostegno della Coldiretti, l’ho avuto ascoltando casualmente questo servizio del TG 5, compreso nell’edizione delle 8 di venerdì 27 settembre – servizio che potete ascoltare qui a partire dal minuto 26.37, che dimostra non solo l’abilità di una singola azienda, uno dei marchi simbolo del Prosecco, nell’ottenere spazi e visibilità, ma fa capire quale sarà il leit motiv da qui a gennaio: basta bere Champagne cari italiani, passate allo “spumante italiano”, meglio all’italianissimo, anzi veneto, Prosecco.
Il pretesto del servizio tv era parlare (e questo dimostra l’efficacia di un lavoro di p.r. ben fatto) della crescita del consumo di Prosecco in Cina, definito “uno dei mercati emergenti”, ma il vero obiettivo, tra divagazioni sulla campagna moralizzatrice del partito, sulle differenze di consumi tra Pechino e altre città, e su Shangai dove “si punta molto sulla formazione” ad opera di professionisti e sommelier, è relazionare gli italici spettatori del TG 5 sulla “lezione di Prosecco tenuta da Gianluca Bisol, ovvero 500 anni di storia alle spalle” (?) in Cina.
E da qui ecco partire lo spottone filo Prosecco e filo “spumante italiano”: in Cina, come dice Bisol, “la Francia ha il 53% del mercato e l’Italia il 6% eppure quando si parla di bollicine noi vendiamo il doppio dei francesi”. Il tutto, ci viene detto, “frutto di una politica attenta storico che quest’anno porterà al sorpasso a livello globale tra Prosecco e Champagne”. Inoltre lo spot, pardon, il servizio del TG 5, ci informava che lo “scorso anno sono state vendute 280 milioni di bottiglie di Prosecco in tutto il mondo contro 300 milioni di Champagne. Quest’anno lo Champagne è in leggero calo ed il Prosecco cresce del 20%”.
C’è tutta la “logica” e la prassi dell’informazione, su carta stampata ed in televisione, in questo tipo di servizio: l’ossequio ad un’azienda ricca e potente, l’asservimento ad una verità di parte e di comodo, la disponibilità a diffondere un’informazione che informazione corretta non è, ma blandisce gli interessi di una parte.
A parte il fatto, non trascurabile, che le bottiglie di Champagne vendute nel corso del 2012 non sono state 300 milioni, bensì, c’è una differenza di quasi nove milioni di bottiglie , di 308.837. 119 (dati ufficiali C.I.V.C.) e che lo Champagne in Cina sta fortemente crescendo, lo scorso anno raggiungendo due milioni di bottiglie, con una crescita rispetto al 2011 del 51,8%, sarebbe buona cosa che il telegiornale Mediaset desse un’altra utile informazione ai propri telespettatori, ovvero a che prezzo medio sono state vendute nel mondo le bottiglie di Champagne e a che prezzo invece, molto molto più basso, le bottiglie di Prosecco. Docg come quelle firmate Bisol, oppure Doc. Questo fa la differenza, e non è una differenza da poco.
Allora, di fronte a questa disinformazione, non casuale, ma attentamente guidata, e al servizio di qualcuno, non certo al servizio della verità, dinnanzi alla prospettiva di vederci sommersi da qui a San Silvestro dall’invito a scegliere, stappare, bere, “spumanti italiani”, il che è quasi sinonimo, pur con tutto il rispetto dell’Asti, che ha un peso piuttosto limitato, di bere Prosecco, mi sento, in nome di una mia ideale visione del mondo, anzi di un utopico migliore dei mondi possibili, di fare una modesta proposta. So bene che quello che propongo è di difficilissima realizzazione, ma perché non proporlo ugualmente?
Sappiamo tutti come nel disinvolto e disordinato calderone dello “spumante italiano” vengano inseriti, senza alcun tipo di distinzione, frizzantini generici, spumantelli da quattro lire, spumanti, a denominazione e non, prodotti con il metodo Charmat e metodo classico. E sappiamo perfettamente, lo sanno benissimo anche coloro che non fanno nessuna distinzione confidando nella distrazione e nella non particolare preparazione di larga parte dei consumatori, che non si possono mettere insieme prodotti dalla natura profondamente diversa, che hanno metodologie, costi di produzione, caratteristiche, uve utilizzate, modalità di utilizzo a tavola e prezzo finale completamente diversi, con i metodo classico molto più complessi da realizzare, con tempi più lunghi e tecniche più complesse, e oggettivi costi più elevati, rispetto agli Charmat.
Allora, pur consapevole della lontananza, anzi delle divisioni tra i vari soggetti produttivi, tra le varie denominazioni e zone di produzione, chiedo e propongo: ma perché i protagonisti del metodo classico italiano pur restando se stessi, ovvero Franciacorta, Trento, Oltrepò Pavese, Alta Langa, Alto Adige (parlo dei principali soggetti) non trovano un singolo momento di coesione e sinergia per studiare una campagna di comunicazione comune che faccia sapere ai consumatori italiani che rifiutano la logica confusa dello “spumante italiano” e che un metodo classico è vino profondamente diverso da uno “spumante” generico e da uno Charmat?
Qui non si tratta di trovare, cosa che è clamorosamente fallita, morta e sepolta, un nome comune, che non frega a nessuno, per il metodo classico italiano, bensì di rivendicare, insieme, forti di qualcosa come una ventina di milioni di bottiglie complessivamente prodotte, l’orgoglio della diversità dei diversi metodo classico italiani, di fare quell’opera di informazione corretta che da qui a fine dicembre non verrà scientemente fatta da larga parte dell’informazione, specializzata e generica, televisiva e cartacea.
Perché non pensare che competitors naturali, che tali continueranno ad essere, come Franciacorta Docg e Trento Doc, possano darsi idealmente una mano e fare sapere al consumatore perché un metodo classico costa di più di uno Charmat ed in quale modo venga prodotto e con quali peculiari metodologie e tecniche di produzione? Perché non pensare ad una campagna comune dove in nome del “metodo classico italiano” si lavori su quei consumatori ai quali invece viene spacciata quella favoletta fasulla dello “spumante italiano” che alla fine non fa che tirare la volata al Prosecco?
Questa mia idea di un’azione comune l’ho già espressa venerdì pomeriggio, incontrandolo in Cavit, dove è il direttore generale, al Presidente dell’Istituto del Trento Doc, Enrico Zanoni , incontrando un suo convinto consenso ed una personale disponibilità a verificare la fattibilità di un’operazione del genere.
Perché non farsi cullare per un momento dall’illusione che anche Maurizio Zanella , presidente del Consorzio Franciacorta , Paolo Massone presidente del Consorzio vini Oltrepò Pavese e Giulio Bava , presidente del Consorzio Alta Langa , possano concordare su una simili ipotesi di lavoro comune?
Lemillebolleblog ed il sottoscritto sono a disposizione per vedere se una sinergia ed un dialogo, per questo unico progetto di comunicazione, siano possibili. Pensateci!
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