In un volume appena pubblicato da Mondadori (complimenti per la coerenza: anti-berlusconiani in servizio permanente effettivo che scelgono come editore la famosa casa editrice proprietà del cavaliere di Arcore…), quello che sempre di più appare come un vero e proprio Berlusconi di sinistra , un grande venditore (anche in questo simile a Silvio B.) imbonitore ed esperto di marketing applicato al vino come Oscar Farinetti , il creatore di Eataly e uno dei grandi sponsor politici del sindaco di Firenze Matteo Renzi , raccontando le sue Storie di coraggio , ovvero “12 incontri con i grandi italiani del vino” (ivi compresi alcuni grandi produttori, nel senso di industriali del vino) propone in degustazione alle persone che incontra una serie di vini. Tra questi anche vini prodotti nelle varie aziende di cui, lui eno-tycoon, è proprietario o socio.
In un incontro, forse il meglio riuscito, insieme a quello con Gaja, dove vediamo due iper egocentrici gareggiare per dimostrare quale dei due abbia il più grande culto di sé, con Beppe “Citrico” Rinaldi, Farinetti finisce con il fargli assaggiare “il mio Alta Langa Contessa Rosa Brut Riserva 2008 ”.
Un vino che il “miliardario rosso”, il fantastico venditore di frigoriferi e lavatrici, oggi passato a celebrare i fasti della pasta artigianale di Gragnano, del “vino libero” e di carni e prelibatezze gastronomiche riservate, per il loro prezzo, ad happy few , presenta come “una novità assoluta, una ricerca che ho fatto fare personalmente per dare all’Alta Langa una personalità. Il segreto dei produttori di Champagne sta nel liqueur d’expédition: alcuni aggiungono Armagnac, Cognac o altro. Noi aggiungiamo Barolo 1967”.
C’è tutto Farinetti in questa descrizione. La genialità nell’inventarsi trovate di marketing (l’Alta Langa con un pizzico di vecchio Barolo), l’arroganza di pensare che con trovate del genere si possa dare “personalità” ad una denominazione seria come l’Alta Langa, l’ignoranza, che lui peraltro spaccia come grande conoscenza delle cose vinose, che sta nel proclamare che “il segreto dei produttori di Champagne stia nel liqueur d’expédition”, mentre lo sanno tutti, tranne Oscar F., che la liqueur d’expédition è solo un trascurabile elemento nella produzione degli Champagne e che si sono un sacco di Champagne, gran parte dei migliori, che non fanno uso della liqueur d’expédition. E sono buonissimi.
Ignoranza farinettiana, o dimostrazione di un pensiero diffuso secondo il quale i vini si “aggiustano” in cantina che si rivela nel pensare che il perseguimento della qualità possa passare attraverso trovatine, di dubbia validità tecnica, come l’aggiungere vecchio Barolo 1967 (mi raccomando solo quell’annata!) ad un Alta Langa.
Mentre forse sarebbe più opportuno, e lo dico alla luce della degustazione di alcuni Alta Langa di Fontanafredda fatta giusto un anno fa, e di cui avevo scritto qui , una degustazione, per quanto riguarda i vini della storica azienda di Serralunga d’Alba, pensare meno ad effetti speciali di marketing e concentrarsi di più sul lavoro in vigna ed in cantina.
Perché per quanto il vecchio amico giapponese Shigeru Hayashi , che ha collaborato con Farinetti alla stesura di questo libro e si è occupato delle note organolettiche di tutti i vini degustati, possa descriverlo, grazie al suo “naso perfetto” in maniera molto positiva, cogliendo “la contaminazione del Barolo”, a me, quando lo scorso anno ne assaggiai la prima versione, l’Alta Langa Contessa rosa riserva 2004 , apparve tutt’altro che trascinante. E ne scrissi così: “ meglio sospendere il giudizio e dare tempo al vino di trovare un proprio equilibrio, anche se al momento del mio assaggio questo Alta Langa “barolato”, una scelta, quello dell’uso di vecchio Barolo nel dosaggio, che sembra più una “farinettata ”, una trovata di marketing più che una necessità tecnica, non mi ha convinto affatto, con il suo naso maturo ma non stanco, con note che richiamano la cenere, una nota minerale affumicata e di agrumi, la bocca piuttosto asciutta, un po’ bloccata dal legno, che dà una nota di dolcezza leggermente stanca e burrosa, con un carattere più da vino che da metodo classico”.
Poi potrà anche essere successo che lo staff tecnico di Fontanafredda, ovviamente facendo tesoro dei consigli enologici del “paron ”, abbia aggiustato il tiro e che questa nuova annata sia migliore di quella, da dimenticare, degustata da me, ma io ci andrei cauto prima di dare fiato alle trombe e di proclamare che Oscar F. ha avuto un’intuizione degna di un grande chef de cave .
Perché il “mercante di utopie” Farinetti potrà anche trovare i tappeti rossi su larghissima parte della stampa, specializzata e non, sempre molto sensibile e disponibile nei confronti dei miliardari, un po’ incantatori di serpenti, soprattutto se engagé à gauche. E potrà anche godere di mezzora di spazio, ospite di quell’anima bella di Fabio Fazio , sull’amica Rai Tre. Ma non pensi che tutti siano disposti a farsi incantare e credere che Oscar F. sia il novello Re Mida e che tutto quello che tocchi diventi oro.
Come osservatore di cose “bollicinose”, mettendo la mia faccia come “un certo Ziliani”, posso solo dire che quell’Alta Langa corretto al Barolo (1967 of course) lasciava molto a desiderare, che da Fontanafredda è lecito, ricordando i vini che produceva tanti anni fa quel galantuomo di Livio Testa , attendersi molto di più.
E che l’Alta Langa per darsi una personalità, per mettere a fuoco meglio la propria immagine, non ha certo bisogno di “farinettate” tipo un Alta Langa “barolato” . Checché ne possa pensare il geniale Monsù Oscar F.
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