Moltissime le esperienze positive che ho portato a casa trascorrendo quasi una settimana a stretto contatto con il celebre e bravissimo collega inglese Tom Stevenson degustando insieme qualcosa come 320 Franciacorta in cinque giorni.
Innanzitutto la consapevolezza di aver “incrociato i ferri” con un esperto di vini che di metodo classico e dintorni ne sa come pochissimi altri al mondo e poi di aver trovato un degustatore che i Franciacorta dimostra di apprezzare e amare ancora più del sottoscritto, tanto che i suoi punteggi sono stati spesso, quando i vini gli piacevano, molto più elevati, alcuni incredibilmente elevati, del sottoscritto.
Se si aggiunge poi che Tom si è dimostrato, come ricordavo da un precedente tasting fatto insieme a Londra, simpaticissimo e alla mano (proprio completamente diverso da certi colleghi italiani che “se la tirano” e si danno un contegno da professorini) e che ha accettato spiritosamente e con perfetto fair play british che su alcuni vini io fossi invece molto più critico di lui e che taluni che lui portava in palmo di mano a me lasciassero piuttosto freddino, devo proprio pensare che questi cinque giorni passati in compagnia, con le parentesi di una clamorosa, indimenticabile verticale della Cuveé Annamaria Clementi a Cà del Bosco e l’evento (di cui conto di scrivere prestissimo, dell’English Sparkling wines tasting) siano stati davvero spesi bene.
Un valido motivo di soddisfazione aggiuntivo e personale di questo Franciacorta tasting è l’avermi consentito di riassaggiare con tutta tranquillità ben diciotto campioni, tra bottiglie normali e magnum, vini già in commercio e future uscite, di un’azienda di cui non avevo sinora mai scritto in quasi tre anni di questo blog. E non ne ho scritto sinora non perché non la conoscessi, ma proprio perché avendola conosciuta benissimo in passato e avendole dedicato un folto mannello di articoli molto favorevoli ho preferito non scriverne perché non avrei potuto usare gli stessi toni e avrei dovuto non dedicarmi ai complimenti come un tempo, ma alla critica o quantomeno all’espressione di una totale perplessità.
Sto parlando non di un outsider, bensì di un’azienda storica, erede di una dinastia di viticoltori operanti in Erbusco sin dal lontano 1793, come Uberti . Venticinque ettari vitati per una produzione di circa 180.000 bottiglie suddivisa tra Franciacorta e vini Curtefranca doc. Di Eleonora e Agostino Uberti io mi considero (magari loro oggi non tanto) un vecchio amico, che ha un bellissimo ricordo di tante visite e degustazioni fatte nella loro cantina tanto che in passato ero arrivato a definire Uberti la terza forza della Franciacorta, con Cavalleri, dopo i due numeri uno di Erbusco. Una valutazione che oggi non potrei assolutamente confermare per tanti motivi.
Ad un certo momento non so cosa sia successo, e sarebbe ingiusto da parte mia far coincidere questo cambiamento con l’entrata in azienda delle figlie Silvia e Francesca e segnatamente della prima, enologa che ha maturato esperienze anche all’estero, ma con i Franciacorta di Uberti non mi ci sono ritrovato più. E trovandoli profondamente cambiati e non in linea con il mio gusto, che ama sempre meno i vini “massicci” e concentrati, l’uso importante del legno nelle vinificazioni e negli affinamenti delle basi, e predilige vini più snelli, salati, minerali, eleganti, ho smesso di bere e di scrivere di quei Magnificentia e Comarì del Salem che tanto ho amato e celebrato.
Da tempo mi ripromettevo di tornare in azienda e con la franchezza e faccia di tolla che mi contraddistingue esprimere chiaramente questo mio disorientamento agli Uberti, per cercare di capire, per farmi spiegare in cosa sia consistito il cambiamento, il perché di questa che io considero una vera e propria svolta stilistica.
Colgo l’occasione di questa maxi degustazione dei loro vini, che ha confermato larga parte delle mie perplessità e della mia personale difficoltà a capire la nuova dimensione dei Franciacorta ubertiani, per farlo pubblicamente e per dire che se anche su alcuni Franciacorta vorrei parlare con i produttori, autori di una gamma vasta che comprende Francesco I Brut, Extra Brut e Rosé, Brut Satèn millesimato Magnificentia, Extra Brut millesimato Comarì del Salem, Dosaggio zero millesimato riserva Sublimis, un vino, deo gratias!, mi ha invece pienamente convinto. Anzi, entusiasmato e fatto ritrovare traccia di quello stile Uberti che tanto avevo apprezzato anni orsono.
Questo vino, sul quale i miei punteggi sono stati superiori a quelli di Tom Stevenson, è l’ultimo nato in casa Uberti, un vino non di facile reperibilità prodotto esclusivamente in 2540 magnum. Si chiama Quinque e, parole della famiglia Uberti, “rappresenta le caratteristiche e le peculiarità di più appezzamenti e di cinque vendemmie. Dopo l’operazione di remuage, si procede alla sboccatura. Da qui passa un ulteriore periodo di affinamento di 6 – 12 mesi prima della commercializzazione. Quindi dalla vendemmia trascorre un periodo che varia dai 42 ai 144 mesi; non bisogna avere fretta!”,
Si tratta di una cuvée che nella prima edizione è “ottenuta dall’unione di 5 vendemmie: il 2002 fresco, il 2003 estremamente caldo, il 2004 generoso, il 2005 difficile e il 2006 molto asciutto”, vini, da uve Chardonnay in purezza, provenienti da “cinque appezzamenti nei comuni di Erbusco, Adro, Cazzago S.M. (Calino); terreni collinari, molto magri, ricchi di scheletro, asciutti, ben esposti e sempre ventilati”.
Voglio trascrivere le note relative alla tecnica di produzione minuziosamente descritte dall’azienda: “Dopo la raccolta manuale dei grappoli, con una rigorosa selezione, segue una leggera pressatura. La fermentazione del mosto delle singole vendemmie avviene totalmente in recipienti di rovere naturale (tini da 32 Hl) esenti da cessioni di note speziate e di tostatura. La singola vendemmia viene lasciata da sola sulla sua feccia nobile per circa sei mesi. Trascorso tale periodo viene trasferita in un altro tino che contiene l’assemblaggio delle 5 annate. Viene imbottigliato in primavera e solo dopo un lungo periodo, da 60 a 72 mesi, a contatto con i propri lieviti viene proposto nella tipologia Extra Brut”.
I dati analitici parlano di 13,5° gradi alcol (elevati per un Franciacorta), di un Ph di 3,21, di 6,30 di acidità, di un dosaggio degli zuccheri pari a 4 grammi litro e di una sboccatura fatta nel settembre 2012. La prossima uscita, che ho parimenti assaggiato, con sboccatura fatta il giorno prima, sarà invece una cuvée delle annate 2003-2004-2005-2006-2007 e poi, progressivamente, si arriverà a cuvée ancora più complesse di 10-15-20-25 annate.
A me questo Quinque, che gli Uberti definiscono “vino che rappresenta la realtà delle terre senza le particolari caratteristiche di una determinata annata o il particolare carattere di un singolo vigneto. Vino sicuramente unico nel suo genere che dovrebbe generare sensazioni molto piacevoli”, è piaciuto, etichetta a parte (è un po’ tutto l’insieme delle nuove etichette dei Franciacorta che non trovo entusiasmante) senza se ne ma. Tanto che assegnerò a questo unicum il punteggio massimo delle cinque stelle (su The World of Fine Wine sarà un 18.5 – 19).
Colore oro intenso squillante molto luminoso, perlage fine e continuo, naso molto fitto e caldo, con note di frutta esotica, alloro, frutta candita e leggera speziatura, ananas, fiori e fieno secco, con un legno finalmente dosato bene e non protagonista come in altre cuvée. Bocca larga, fresca, succosa, il Quinque ha equilibrio, sale, persistenza lunga e piena, una bella vivacità sul palato, grande carattere, bolle non aggressive e croccanti, un gusto deciso di frutta esotica, di mandorla, con una bella energia e vivacità, grande allungo, dinamismo e bel sale finale. Questi i Franciacorta di Uberti che vorrei sempre trovarmi nel bicchiere!
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