Bellissimo e suggestivo, in apertura della rassegna Bollicine sulla città che si svolge da oggi in quel di Trento, vedere sulla pagina di apertura del “rinnovato” sito Internet del Trento Doc una splendida fotografia con tanto di vigneti alto collinari e montani e leggere che il metodo classico trentino viene definito “spumante di montagna ”. Meravigliosa questa definizione, uso del termine “spumante” a parte, se solo corrispondesse al vero.
Se il Trento Doc è davvero un vino, con le “bollicine”, di montagna, cosa ne facciamo, dove li lasciamo, facciamo finta che non esistano, i tanti ettari di Chardonnay soprattutto che in montagna ed in collina non sono affatto, ma piuttosto in pianura o bassa collina? Sono ettari di un Trento Doc di serie B, un Trento Doc che potremmo battezzare “spumante di pianura”, oppure vogliamo fare, finalmente, una comunicazione corretta che rispetta la verità?
Perché chiamare il Trento Doc “spumante di montagna”, quando di montagna sono solo una minoranza degli ettari di Trento Doc, e generalmente esprimono vini di superiore eleganza e migliori?
E se il Trento Doc diventa “di montagna”, quale nome devono prendere i vini e le zone vinicole che aderiscono al CERVIM , Centro di Ricerca, Studi, Salvaguardia, Coordinamento e Valorizzazione per la Viticoltura Montana, organismo internazionale nato con lo specifico compito di promuovere e salvaguardare quella viticoltura eroica , che presenta queste precise caratteristiche: pendenza del terreno superiore a 30%; altitudine superiore ai 500 metri s.l.m.; sistemi viticoli su terrazze e gradoni?
Trentodocchisti, siate seri e non raccontate palle, per favore!
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