Alcuni inevitabili interrogativi e un confronto, obbligatorio, con la Franciacorta
Interrogativo ad uso degli osservatori della scena, variegata, del metodo classico italiano. Pensate sia più sano uno scenario dove a fronte di una produzione complessiva annuale sugli 8 milioni di bottiglie delle quali oltre la metà è prodotta da un solo soggetto lasciando ad appannaggio degli altri, una quarantina scarsa, poco meno di 4 milioni di pezzi, oppure uno scenario dove a fronte di una produzione attestata sui 15 milioni di pezzi ci sia un soggetto che da solo ne totalizza 4 e mezzo ma lascia all’altro centinaio di soggetti produttivi oltre 10 milioni di bottiglie?
Questo interrogativo mi è venuto alla mente leggendo due articoli: l’inchiesta pubblicata dal Trentino Corriere delle Alpi, che propone una serie di interviste ad alcuni dei principali esponenti del Trento Doc, ed il commento, dal titolo giustamente irriverente, a questa inchiesta pubblicato da Trentino wine blog .
Dall’inchiesta si evince che la produzione annua di Trento Doc “si attesta sugli 8 milioni di bottiglie delle quali oltre la metà è prodotta dalla Ferrari” una produzione stabile che non cresce, nonostante cresca il numero dei produttori di Trento Doc e a dispetto di alcune “sparate” relative a “14 milioni di bottiglie “tirate”, sicuramente solo nei sogni o in qualche sparata elettorale.
Ho così fatto, alla buona, senza pretesa di scientificità, quattro conti, calcolando che se la produzione complessiva trentodocchista è di 8 milioni e se la dividiamo per 40 soggetti produttivi (ho leggermente abbondato) otteniamo una produzione media unitaria di 200.000 bottiglie. Se calcolo poi sui 4.200.000 le bottiglie prodotte dal solo azionista di maggioranza, Ferrari, restano 3.800.000 di pezzi che suddivisi sugli altri 39 soggetti produttivi portano ad una produzione di 100 mila pezzi a testa, che scendono a 90 mila scarse a testa se si calcola sui 4.500.000 di pezzi la produzione di Ferrari.
Le cose però non vanno esattamente così, perché, ragiono sempre a spanne, perché i numeri esatti del Trento Doc non si riescono ad avere (pare che qualche azienda in particolare, magari una cantina cooperativa, non voglia che vengano dati, chissà perché) oltre ai 4 milioni e rotti di Ferrari, nel paniere del Trento Doc va inserito un altro milione e mezzo almeno, se non due milioni, di bottiglie appannaggio degli altri più importanti soggetti produttivi (che a naso sono Cavit, Rotari Mezzacorona, Cesarini Sforza).
Sempre con lo spannometro salta quindi fuori che sottraendo dagli otto milioni complessivi sei milioni di bottiglie appannaggio dei 4-5 più rilevanti soggetti produttivi, ad appannaggio degli altri 34-35 produttori di Trento Doc restano due milioni di bottiglie, con una produzione media unitaria di 57 mila.
Naturale, nel mio ragionamento mattutino, fare un confronto con la situazione dell’altra più importante zona vinicola italiana produttrice di metodo classico a denominazione d’origine, la Franciacorta . Anzi, la maggiore, in termini di numeri.
La produzione dei Franciacorta Docg, dopo la riconversione dei metodo classico della Guido Berlucchi a Franciacorta, è intorno ai 15 milioni di bottiglie che suddivise per i 106 soggetti produttivi portano ad una produzione media di 141.000 bottiglie pro singola azienda. Considerando che la produzione dei Franciacorta targati Guido Berlucchi varia da 4.200 a 4.500.000 milioni di bottiglie, restano ad appannaggio degli altri 105 soggetti produttivi da 10,8 a 10,5 milioni di bottiglie, ovvero oltre centomila bottiglie a testa.
E considerando che gli altri soggetti produttivi più importanti contano ognuno su un milione e mezzo di bottiglie si ha che metà della produzione riguarda tre soggetti produttivi e che metà è distribuita su un centinaio di altri soggetti, con una media produttiva di 75.000 bottiglie ad azienda.
Nel paragone tra le due zone, dove, a detta di due importanti protagonisti, l’andamento del mercato italiano (il principale mercato) ha andamenti diversi, per Matteo Lunelli presidente del Gruppo Ferrari “un calo nell’ordine del 4-5% in Italia”, mentre il presidente del Consorzio Franciacorta Maurizio Zanella ha dichiarato che “i primi dieci mesi del 2013 hanno registrato un consumo crescente del Franciacorta a tutto pasto, che ha consentito di incrementare la vendita del prodotto durante l’intero anno mantenendo sostanzialmente stabile la quota di mercato interno”, occorre pertanto chiedersi: meglio una zona con pochi soggetti produttivi, con meno di cinque che controllano tre quarti della produzione e poche bottiglie appannaggio della maggioranza dei soggetti produttivi o meglio una zona con tanti soggetti produttivi, con oltre metà della produzione controllata da un centinaio di aziende?
Discorso sulla forza e sull’immagine del marchio territoriale a parte (chi gode presso il consumatore di un’immagine più nitida e più forte, Franciacorta o Trento?) e discorso sull’efficacia dell’organo rappresentativo delle denominazioni (meglio il Consorzio Franciacorta o meglio l’Istituto Trento Doc – Consorzio vini del Trentino, ecc.) è più facile essere presenti sul mercato con tanti soggetti produttivi, che possono essere presenti a raggio in tutti i canali di vendita, oppure è meglio affidare il messaggio della propria denominazione solo a pochi cavalli di battaglia?
Non mi chiedo, perché sarebbe una domanda stupida e insensata, se siano migliori i Franciacorta Docg o i Trento Doc, ce ne sono di buoni e di ottimi e di insulsi in entrambe le denominazioni, ma mi limito a porvi una domanda: volendo puntare e desiderando vincere, su quale dei due cavalli, quello bresciano o quello trentino, vi sentireste di puntare nella gara per la supremazia produttiva, commerciale, d’immagine, per la riconoscibilità da parte del consumatore?
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