Lo confesso, il celebre aforisma di Nicolas de Chamfort “più si giudica, meno si ama ”, si addice perfettamente al mio (errato) comportamento nel momento in cui mi ritrovo tra le mani un calice di Superiore di Cartizze : tendo ad assaggiare e giudicare senza prima godere della gioia che ogni buon calice di vino può dare, dimentico in parte la dovuta oggettività, e mi faccio trasportare da quell’innata antipatia che ognuno di noi prova nei confronti di quel Principe destinato a divenire Re, non per meriti acquisiti, ma per il solo diritto dinastico. Assaggio e riassaggio, ed esprimo il mio giudizio privo di amore verso questo vino.
D’altra parte la colpa non è mia: nulla posso se qualche produttore si ostina nel vendere dello spumante che del Cartizze ha solo il nome (e si sa, le colpe di qualcuno ricadono su tutti) ed in cui l’unico aspetto realmente Superiore è solo il prezzo.
Di tale prevenuta antipatia ha dovuto fare le spese (almeno sino all’apertura) anche l’incolpevole bottiglia di Superiore di Cartizze della Nino Franco.
Non meritava tale antipatia già per l’aspetto privo di fronzoli e di quelle concessioni che spesso si regalano a questo vino: la bottiglia classica e l’etichetta sobria ed elegante ben riflettono lo stile di quest’azienda, dove nulla viene lasciato alla pura apparenza ma trova fondo in una concretezza non comune. Scritte bianche su fondo grigio, limitato uso del nero ed un ancora più parco utilizzo dell’argento a caldo. Unico vezzo un tocco di rosso per scrivere il nome aziendale e contornare l’annata.
D’altra parte lo stile dell’azienda è quello del proprietario, Primo Franco: sobrio, concreto, elegante! Primo è indubbiamente persona che testimonia la veridicità della locuzione nomen homen : per capacità, intelligenza, preparazione, limpida visione del mondo che lo circonda questo produttore si colloca tra i primi della classe, e la sua franchezza, sempre diretta e schietta, a volte quasi indisponente (ed a volte senza quasi ), fanno di lui un uomo con cui lo scambio di opinioni non è mai una perdita di tempo, bensì un arricchimento di rara opportunità, proprio perché offerto senza nessuno sconto alla simpatia del caso.
Il Cartizze Nino Franco si presenta nel bicchiere di un bel giallo paglierino, con una corona pronunciata e persistente. Al naso immediati i descrittori tipici del Prosecco: mela e pera in profusione, poi ancora mela, cui fanno seguito una gentile mentuccia, salvia, ed un accenno di arancia dolce. Infine una mandorla appena percettibile ma tanto caratterizzante quanto gioiosa nel suo essere mandorla di confetto.
L’ingresso in bocca ripropone gli aromi percepiti all’olfatto, ma è la struttura di questo Cartizze a connotarne il pregio: mineralità e sapidità prepotenti giustificano il suo essere prodotto in versione Dry, e sorreggono il ricco bouquet per donare una persistenza non comune.
Proprio gli aspetti minerali, la sapidità e la notevole persistenza mi spingerebbero nell’osare qualcosa in più del classico abbinamento con pasticceria secca che tanti raccomandano: sarei curioso di affrontare un tataki di tonno oppure della panzanella giocata su toni dolci… piccole concessioni sugli antipasti che permettono abbinamenti inusuali.
Per una mia predisposizione personale verso il Prosecco a ridotto dosaggio zuccherino, confesso che mi piacerebbe molto vedere la Nino Franco alle prese con un Cartizze Brut e/o al limite dell’extra Dry: sono certo che sarebbe un Cartizze da antologia.
La bottiglia degustata, acquistata in enoteca al prezzo di euro 19,90, vale certamente le 4 stelle e mezzo, ma sono certo che nella primavera inoltrata (ovvero dopo una giusta permanenza in bottiglia) le cinque stelle sarebbero il giusto compendio.
Alessandro Carlassare