Voglio tornare nel merito del recente post di Alessandro Carlassare dedicato ad un Superiore di Cartizze da lui acquistato, degustato e descritto, spinto da una perplessità che ha coinvolto due commentatori, che di fronte al prezzo di 19,90 euro pagato in enoteca per la bottiglia, opera di uno dei produttori più noti e celebrati, hanno affermato il primo “é più forte di me ed è sicuramente un difetto, ma per un prosecco metodo charmat 20 euro non le spenderei mai” ed il secondo “faccio la domanda direttamente all’autore: ma lei Carlassare, degustazione a parte, spenderebbe 20 euro per un Prosecco (anche se di Cartizze)? E/o li trova giustificati?”.
Da dichiarato non particolare fan del Prosecco, Doc o Docg, mi sembra che questo prezzo finale (va però precisato che sul Web si trovano Cartizze anche da 13 a 16 euro e poi si sale sino a 22 proprio per il vino in oggetto) sia un po’ elevato, considerato che a quel prezzo si possono acquistare, e non voglio entrare nel merito del gusto, trattandosi di prodotti completamente diversi, vini prodotti con una tecnologia di produzione, una tecnica, con tempi e costi di produzione decisamente superiori.
Con 20 euro si possono acquistare non degli Charmat ma dei metodo classico di buona qualità, proposti non da industriali del vino, pur con tutto il doveroso rispetto per gli stessi, ma da piccole aziende agricole che applicano cure artigianali dalla raccolta delle uve all’ultima fase della vinificazione.
Questa la mia prima risposta di getto, ma poiché continuo, nonostante le batoste feroci che questa visione del mondo sta raccogliendo in questi anni di crisi mondiale, a considerarmi un liberista e penso che il mercato abbia una sua logica che nessuno può contestare, almeno in un regime economico libero e non in un regime dirigista o dittatoriale, credo che non ci sia nulla da scandalizzarsi o di cui lamentarsi se un Prosecco Superiore che riporta in etichetta il magico nomignolo di Cartizze viene messo sullo scaffale a 20 euro e trova persone disposte a pagare quella cifra per aggiudicarsene una bottiglia.
Conosco bene tutta la leggenda che circonda Cartizze: il fatto che rappresenti una ristrettissima area di 107 ettari di vigneto , compresa tra le colline più scoscese di S. Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol, nel comune di Valdobbiadene e poi che sia un vino che nasce “dalla perfetta combinazione fra un microclima dolce ed un terreno assai vario, con morene, arenarie ed argille, che consentono un drenaggio veloce delle piogge e, nel contempo, una costante riserva d’acqua, che permette alle viti di svilupparsi in modo equilibrato”.
E che dai 107 ettari della sottozona Superiore di Cartizze , si ottengono mediamente non più di 1,4 milioni di bottiglie ogni anno. E la storia insegna che più un prodotto è disponibile in quantitativi ridotti e più fatalmente ne aumenta il prezzo e più sale il numero delle persone disposte a chiudere un occhio per pagare un surplus per avere proprio quella bottiglia.
E so anche, come si può leggere nella dettagliata pagina che gli è riservata nel sito Internet della Strada del Prosecco e dei vini Conegliano Valdobbiadene , che in quest’area miracolosa, “nel cuore di Valdobbiadene, ad ottobre l’uva di Glera raggiunge una completa maturazione, ciò garantisce una maggiore concentrazione di aromi e sapori e la possibilità di dare allo spumante un gusto più amabile e denso senza pregiudicarne la freschezza”.
Ma pur concedendo al Superiore di Cartizze un carattere peculiare, una superiorità qualitativa nettamente superiore a quella di un Conegliano Valdobbiadene Docg di buona qualità che troviamo nella fascia dai 7 ai 9 euro, qualcuno vuole aiutarmi a capire quali elementi tangibili, apprezzabili, concreti giustificano quei dieci euro di differenza? Si paga la leggenda del Prosecco Superiore che si può produrre solo in 107 ettari benedetti da Bacco e che non raggiunge il milione e mezzo di bottiglie o che altro? Qualcuno vuole aiutarmi/ci cortesemente a capire?