Sono rimasto abbastanza colpito dal silenzio che ha accolto questo mio post della scorsa settimana. I casi sono tre: o non mi si fila più nessuno; oppure ho detto delle scempiaggini, o ancora ho detto qualcosa che ha un senso compiuto e una logica ma sul quale per vari motivi è meglio tacere e far finta di nulla.
Ho la presunzione di pensare di aver scritto qualcosa che è tutt’altro che insensato, ma tocca un nervo scoperto, ovvero l’assenza di qualsivoglia tipo di dialogo, la riluttanza estrema al dialogo ai protagonisti delle diverse denominazioni del metodo classico italiano . Nessuna delle quali ha la forza, la massa critica, i mezzi economici per mettere in cantiere, da sola, non una grande campagna pubblicitaria, perché non è questo che mi riferisco, ma dei momenti mirati di comunicazione che servano ad accrescere la conoscenza e l’immagine delle “bollicine” prodotte con la tecnica della rifermentazione in bottiglia.
Perché diciamocelo chiaramente, conoscenza a parte da parte degli addetti ai lavori, degli appassionati, dei conoscitori, da parte del grosso del pubblico di coloro che saltuariamente o regolarmente acquistano e consumano vino, la specificità del metodo classico è ben poco nota. Questo a causa di un’informazione pasticciata e confusa condotta a ritmo di “spumante italiano”, all’interno della quale gioca un’altra “informazione” precaria secondo la quale “spumante italiano” è sinonimo di Prosecco.
Certo, ognuna delle singole denominazioni del metodo classico cerca di ovviare e fare da sé, Franciacorta e Trento soprattutto, le altre, Alta Langa e Oltrepò Pavese molto meno, ma nessuna riesce a far passare nel grande pubblico l’idea che i loro vini non sono semplici “spumanti”, che non hanno nulla a che fare con gli “spumanti” aromatici prodotti in pochi mesi in autoclave, che rappresentano, come del resto lo fa egregiamente il Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene, uno specifico territorio con delle precise caratteristiche. E che se costano più di un normale Prosecco Doc o di un Asti Docg non è perché i produttori speculano, ma perché i tempi ed i costi di produzione sono completamente diversi, diversa la tecnica.
E un vino che si affina sui lieviti per 24-36 mesi e più non può essere messo sullo stesso piano di un vino che viene pronto e assemblato con criteri quasi industriali a pochi mesi dalla vendemmia. Non può essere ridotto al rango di mero… “spumante”…
Poiché l’immagine, la conoscenza, la specificità, la nobiltà dei metodo classico a denominazione d’origine sono, presso il grosso pubblico, ben poca cosa, sono persuaso sia interesse comune e prioritario di tutti i soggetti superare gli steccati, antiche rivalità, campanilismi, orgogli territoriali, diffidenze e accettare l’idea di incontrarsi e parlare.
Per verificare se l’ipotesi palesata da questo vecchio scriba patito del metodo classico abbia un minimo di costrutto e se, rimanendo ognuno se stesso, senza confusioni nominali, territoriali, produttive, mantenendo un sano spirito di concorrenza, si possa pensare, da realizzare negli ultimi mesi dell’anno, quando la litania dello “spumante” è ancora più forte, una singola iniziativa di comunicazione a favore dei metodo classici italiani e di un’idea forte, orgogliosa, consapevole di vini a denominazione d’origine prodotti con la nobile tecnica della rifermentazione in bottiglia.