Nel giudicare i metodo classico può entrare in scena il gusto nazionale?
Non ho mai particolarmente apprezzato, anche se ne comprendevo perfettamente le logiche promo-comunicazionali, le degustazioni, organizzate da produttori di vini italiani, dove il presunto vino di punta aziendale, fermo o con le bollicine o dolce, veniva messo a confronto, in blind tasting , con un vino, generalmente francese, che rappresentava il punto di riferimento di quella tipologia.
La speranziella era che l’omologo italiano si comportasse bene e che ottenesse un punteggio non molto inferiore a quello del modello francese, o addirittura superiore, tanto da poter comunicare all’universo mondo che Italia batteva Francia o che almeno portava a casa un pareggio o un’onorevole sconfitta di misura.
Capivo bene perché si facessero, soprattutto negli anni Ottanta-Novanta, queste degustazioni, si trattava di promuovere, attraverso questi tentati exploit, un’immagine più alta del vino italiano che troppi all’estero si ostinavano a giudicare cheap and cheerful , mentre invece stava decisamente migliorando e innalzando la propria qualità. Sono convinto che oggi molte di quelle aziende che hanno dato vita a quei confronti non ripeterebbero simili esperienze e che dedicano loro un ricordo sorridente.
Fatta questa doverosa premessa devo dire, e sottolineo che trattasi solo di un ragionamento ipotetico, non di una intenzione, che mi piacerebbe non organizzare, ma vedere cosa succederebbe mai nel caso di un altro tipo di degustazione. E’ una cosa cui penso di alcuni mesi quando ho preso parte, era il 15 ottobre, ad una degustazione di una decina di English sparkling wine , organizzata dal Consorzio Franciacorta per i propri soci e per la stampa, scelti “tra i migliori” dal bravissimo collega britannico Tom Stevenson. Un esperto incontestabile in materia, anzi, un’autorità.
Si trattava di una degustazione, la prima del genere mai fatta in Italia, dotata di un carattere particolare perché vedeva un Consorzio presentare i vini di un “competitor”, piccolo, estero, ma sempre competitor, molto attesa. Attesa perché si era letto che alcuni di quei vini scelti da Stevenson avevano conseguito un’immagine prestigiosa e di qualità, che diversi erano molto costosi, sorprendentemente costosi, che in alcuni concorsi internazionali e degustazioni erano stati premiati e avevano ottenuto punteggi superiori a quelli di Champagne di buon livello e fama.
Sono soddisfatto di aver partecipato a quella degustazione e di aver in qualche modo contribuito al suo svolgimento (la folle idea di realizzarla era stata mia…) e devo dire di aver imparato qualcosa quel giorno. Ma sono uscito dalla degustazione con due convinzioni: che i migliori metodo classico italiani non devono temere come competitor – come puro livello qualitativo – gli English Sparkling wines e che il giudizio sui vini varia decisamente in base al gusto, al tipo di gusto, che le persone che giudicano i vini hanno ricevuto. Ottimi vini quegli sparkling made in UK per il gusto inglese, vini interessanti per certi versi, ma non certo indimenticabili, o trascinanti per il mio personale gusto.
Allora da mesi fantastico sulla bizzarra idea di mettere a confronto, in un’ipotetica degustazione, Champagne e metodo classico italiani.
Ma come, direte voi, lei Ziliani non ha scritto fino alla nausea (di chi legge) che un confronto del genere è assolutamente insensato, che in comune c’è solo una metodologia di produzione e qualche volta, non sempre, il tipo di uve usate, e ora arriva a proporlo?
Avete ragione, non mi sogno di certo di pensare di organizzarlo. Quello che semplicemente mi chiedo, ed è una pura speculazione intellettuale, cosa succederebbe se a due panel di degustatori, uno italiano e uno francese formati non da addetti ai lavori, ma da semplici appassionati e consumatori, gente che compra i vini “con le bollicine” e li beve, si proponesse in assaggio una identica selezione formata non da top de gamme o cuvée de prestige , ma da 10-14 campioni rappresentati da Champagne e metodo classico italiani a denominazione, direi vini base o di livello medio.
Come andrebbero le due degustazioni, ovviamente proposte totalmente alla cieca, senza nemmeno comunicare il carattere spurio (francesi e italiani) dei campioni? I risultati sarebbero gli stessi tra i degustatori italiani e tra i degustatori francesi o ci sarebbero delle differenze? Gli Champagne piacerebbero di più ai francesi o agli italiani? O sarebbero i metodo classico a denominazione di casa nostra ad incontrare un maggiore consenso?
E’ chiaro a chiunque che il responso, oltre che dal gusto del panel, dipenderebbe molto dai vini scelti e dalla loro qualità e sarebbe fondamentale pertanto scegliere vini dal prezzo omogeneo e che rappresentassero non gli “acuti” o presunti tali delle aziende ma il repertorio normale.
Quel che sarebbe interessante capire è se il gusto più morbido e fruttato, con un’acidità più attenuata, di svariati metodo classico italiani verrebbe apprezzato dal gusto francese e come giudicherebbero consumatori italiani medi degli Champagne senza sapere preventivamente che effettivamente di Champagne si tratta. Esiste un “gusto nazionale” che entra in gioco nella valutazione di un vino prodotto con la tecnica della rifermentazione in bottiglia?
Pure divagazioni, ma anche domande alle quali sarebbe interessante e intrigante avere una risposta…