Un produttore trentino dice la sua
Signor Ziliani, anche in Trentino abbiamo seguito con interesse gli articoli del suo blog favorevoli ad un’apertura di dialogo tra i vari protagonisti del metodo classico italiano. Ci sono sembrati ispirati da una certa dose di buon senso e di realismo, e tanti tra noi produttori penso siano teoricamente d’accordo, ma alla fine, ovviamente per motivi diversi, dobbiamo condividere lo scetticismo espresso dal produttore della zona bresciana nel suo intervento .
Se da loro è pesante far digerire l’idea di una collaborazione con noi del Trento Doc, anche da noi pensare di relazionarci con gli “industriali bresciani” convertiti al vino è davvero complicato. E questo non perché siamo condizionati nel nostro modo di pensare da un orgoglio campanilistico o dall’idea di essere così bravi da non aver bisogno di nessuno (beh, un’alta considerazione del nostro lavoro non ci manca di certo e per parecchi Trento non temiamo confronti con nessuno), ma semplicemente perché negli anni tra Trento e Franciacorta si è creata una rivalità così accesa (e non priva di rancori e antipatie) da rendere il semplice fatto di sedersi attorno ad un tavolo (con i colleghi dell’Oltrepò e dell’Alta Langa ed eventualmente dell’Alto Adige) molto problematico.
Il collega della provincia di Brescia ha scritto che a casa loro vedono il Trentino “come sinonimo di una grande azienda che produce più della metà dei vini della denominazione presentati il più delle volte come “spumanti” e non come Trento Doc come testimonia la grande scritta presente sulla facciata aziendale”.
Verissimo, noi abbiamo le Cantine Ferrari di Trento, di cui siamo orgogliosi e che hanno fatto conoscere il metodo classico italiano un po’ ovunque e in Franciacorta hanno, pari dimensioni se non superiori, la Guido Berlucchi, che fino a pochi anni fa produceva milioni di bottiglie di VSQ anche con vino trentino, prima di convertire l’intera produzione a Franciacorta Docg.
E allora, che problema c’è ad avere in ognuna delle due denominazioni un’azienda che produce dai 4 ai 5 milioni di bottiglie? E prima che qualcuno salti su ad accusarci di avere mega cantine cooperative come Cavit e Mezzacorona, che peraltro producono quantitativi di metodo classico risibili rispetto alle loro dimensioni, noi potremmo ricordare che in Franciacorta ci sono almeno un paio di altre aziende che superano agevolmente il milione di pezzi e parecchie altre, cosa che non trova equivalente in Trentino, perché Cesarini Sforza con ogni probabilità produce più Charmat che metodo classico, poste nella fascia che va dai duecentomila ai cinquecentomila pezzi.
Con questo non mi sogno certo, come fa qualche supporter trentino un po’ acceso, di dare ai franciacortini dei “tondinari” , ma è innegabile che il numero di aziende produttrici di centinaia di migliaia di bottiglie è maggiore in Franciacorta che in Trentino, dove molti della quarantina di soggetti produttivi (contro gli oltre cento della zona bresciana) producono metodo classico davvero in piccoli numeri. Ma eccellenti.
Inoltre, se proprio la vogliamo dire tutta, anche se il termine “spumante di montagna” o “bollicine di montagna” che appare sul sito Internet del Trento Doc è un po’ eccessivo, perché solo una parte dei Trento Doc provengono davvero da vigneti di montagna, e spesso questa prerogativa consente loro di avere una finezza e una freschezza straordinarie, non penso proprio che in Franciacorta possano mai sognarsi di usare una definizione del genere, visto che larghissima parte dei vigneti sono in pianura (una parte addirittura a bordo autostrada, ben visibile prima del casello di Rovato) e una parte sola in collina. Tanto per dire le cose come stanno.
Ci sono poi altri elementi, che definirei legati al modo di ragionare e alle diversa struttura politica economica sociale delle due zone, che rendono molto complessa un’eventuale collaborazione ed il relativo stanziamento di fondi necessari, se si intende mettere in cantiere un’iniziativa comune.
In Franciacorta credo sia sufficiente una votazione dell’assemblea dei soci del Consorzio per decidere in tal senso (e altrettanto credo in Oltrepò Pavese e nel caso dell’Alta Langa). Da noi, anche se esiste un Istituto del Trento Doc, entrano in gioco altri enti e Consorzi e una decisione diventa molto più intricata e coinvolge motivazioni non solo di ordine pratico, ma di carattere politico.
Ecco perché, aggiunto poi l’ostacolo non da poco rappresentato da reciproche diffidenze, gelosie, antipatie esistenti tra svariati personaggi delle due principali denominazioni del metodo classico italiano, credo che la sua proposta, che lei come giornalista indipendente ha fatto bene a lanciare, ma che nessuno di quelli che dovrebbe rispondere evidentemente ha intenzione di raccogliere, resterà lettera morta. Una bella idea. Troppo bella e ragionevole per diventare realtà….