La Regione vara un bando di finanziamento di impianti di spumantizzazione
Vi assicuro che non me le vado davvero a cercare con il lanternino le “rogne” quando scrivo, e lo faccio spesso, dell’amatissima terra di Puglia . Ma proprio perché la amo e la vorrei migliore di quello che è, non riesco proprio a star zitto e devo per forza esprimere i miei amichevoli rimproveri quando vedo qualcosa che, a mio avviso, non va.
Così, dopo aver dribblato, con la funambolica agilità di un Garrincha o di un Bruno Conti Mondiali 1982, la mina vagante di una qualsivoglia osservazione su qualche clamorosa assenza, ed è ormai il secondo anno consecutivo, nella classifica dei Best Italian Wines Award , di un vino pugliese che in tanti giudicano immenso, ed essermi limitato ad esprimere con un commento il mio consenso ad un articolo, sul tema Negroamaro , di Carlo Macchi, quando pensavo di essere al sicuro da eventuali incidenti di percorso ecco che mi capita l’imprevisto. Un vero patatrac. Una specie di frontale da uscirne con le ossa rotte.
Io amo la Puglia, che frequento da vent’anni, ne adoro i vini, soprattutto rosati e rossi, e credo che sui bianchi possa dire (e dice già, basta leggere i miei articoli) la sua, anche se non è né l’Alto Adige né il Friuli Venezia Giulia. E amando e frequentando la Puglia ho conosciuto e imparato ad amare le “bollicine” metodo classico del fantastico trio (D’Amico, Rapini, Priore) ovvero D’Araprì di San Severo in provincia di Foggia.
Conosco e ho approfondito la storia del vino pugliese, quando fungeva (devo usare l’imperfetto o piuttosto il presente?) da serbatoio, con i vari vini da taglio, di tanti produttori del nord. Anche spumantisti. Piemontesi.
Nonostante questo, anche se la Puglia è lunga, e dotata di vari microclimi e terroir, non ho mai pensato che questa regione mirabellissima (aggettivo caro a Gioann Brera fu Carlo) potesse avere una peculiare vocazione spumantistica o dovesse puntare, e nemmeno come complemento di gamme prodotti già fin troppo ampie, sugli “spumanti”. Questo anche se uve come la Verdeca ed il Bombino bianco si prestano bene anche ad essere spumantizzate, ma le altre?
E’ con qualche stupore quindi, e con un balzo sulla sedia, che ho preso visione, sul sito Internet della Regione Puglia , del “bando per finanziare gli impianti di spumantizzazione nelle province pugliesi”, voluto fortemente, al grido di “in Puglia parte la sfida al vino spumante”, nientemeno che dall’Assessore alle risorse agroalimentari della Regione Puglia, Fabrizio Nardoni , che definisce questo bando “Impegno coerente con le politiche di valorizzazione dei nostri autoctoni”.
Capisco benissimo e condivido il legittimo orgoglio regionale dell’ex presidente Edili di Confindustria , che ricordando di aver “assunto un impegno preciso con i nostri produttori di vini frizzanti”, ora pensa di fornire “un altro strumento di sviluppo al nostro comparto vitivinicolo”. E dichiara “crediamo di aver, così, contribuito ulteriormente alla crescita del settore del vino spumante anche in considerazione dell’alto livello qualitativo raggiunto in ambito nazionale ed estero dalle nostre cantine e dalle nostre produzioni di qualità”.
Faccio però più fatica, io milanese con un po’ di sangue pugliese da parte di nonna materna, a capire che questo orgoglio possa addirittura portarlo a definire il bando di finanziamento degli impianti di spumantizzazione nelle province pugliesi, come “un atto che sa anche di emancipazione e indipendenza delle nostre cantine nei confronti degli impianti del Nord che dettavano così anche tempi e mercato”. Questo perché, afferma, “i vini spumanti che un tempo erano costretti a migrare, dunque, d’ora in poi potranno prodursi direttamente in Puglia, chiudendo una filiera di eccellenza che apre anche nuove interessanti prospettive di mercato”.
Non vorrei sembrare arrogante, anche se penso di avere qualche titolo per poter parlare visto che di vino e di “bollicine” mi occupo da una vita e non solo dal marzo 2013, ma credo che l’Assessore Nardoni abbia le idee non molto chiare in materia, visto che mette insieme indistintamente “frizzanti” e “spumanti”.
E temo che qualcuno l’abbia informato o consigliato male, facendogli balenare l’idea, un po’ stravagante, che la terra del Primitivo, del Negroamaro, dell’Uva di Troia, del Bombino nero e anche della Verdeca, del Bombino bianco e del Minutolo, possa tramutarsi, grazie a questi finanziamenti, variabili da 200 mila euro ad un massimo di due milioni di euro, per “l’acquisto e l’installazione di impianti di lavorazione per la produzione, imbottigliamento e confezionamenti di vini spumanti prodotti con Metodo classico, Metodo Charmat lungo e Metodo Charmat corto”, in una Franciacorta o una Conegliano Valdobbiadene del Sud.
Il fatto stesso che vengano finanziati impianti per lavorazione, produzione, imbottigliamento e confezionamenti di vini spumanti in genere, fa sospettare in primis che l’Assessore non abbia capito che il successo di quelle due zone, che non ho scelto a caso, sta nell’aver scelto con chiarezza, da anni, un determinato tipo di prodotto invece di un altro. Un prodotto che porta il nome del territorio, che identifica il territorio.
In secondo luogo ho il sospetto che qualche enologo l’abbia persuaso che il clima della Puglia abbia la stessa vocazione alla spumantizzazione di qualità, Charmat o metodo classico, delle zone del nord che si sono imposte sul mercato, ormai molto affollato, delle bollicine. Se è così, siamo proprio a posto…
E se poni caso, il clima fosse adatto, come lo è in Trentino, in Oltrepò Pavese, nell’Alta Langa, nella Marca Trevigiana e nell’area intorno ad Erbusco e Rovato, su quale tipo di “spumante” si vorrebbe puntare? Ed espressione di quali uve?
Voglio credere, pur con tutto l’amore che io ho per questo vitigno, di grande duttilità ed espressività se destinato a rosati e rossi, non si pensi di fare grandi cose vinificando in bianco il Negroamaro . Questo anche se diverse aziende salentine e non, seguendo la moda ed il successo degli “spumanti”, da qualche anno si sono messi anche loro a produrli. Con risultati, mi sembra, tutt’altro che irresistibili.
E, domanda centrale, siamo proprio sicuri che per farsi ulteriormente conoscere in Italia e nel mondo la Puglia debba ricorrere ai vini “spumanti” che sono simbolo di ben altre latitudini e geografie? E infine, diciamocelo chiaramente, siamo sicuri che esistano mercati che chiedano e siano pronti ad accogliere, se il prezzo e soprattutto la qualità saranno quelli giusti, gli sparkling wines made in Apulia ?
Sarò uno scettico, un disfattista, un “traditore” e un “nemico della Puglia”, come afferma qualche fessacchiotto, ma ho tanti dubbi in merito…
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