A proposito della sparkling-mania nelle terre del Nebbiolo
E’ proprio vero che s’impara sempre qualcosa quando si viene nelle Langhe. Non solo un’ovvietà lapalissiana, ovvero che il Barolo quando è in piena forma, quando si esprime nelle grandi annate e nei crus giusti, è il più grande vino del mondo e non ci sono discussioni.
Ma si può scoprire venendo in Langa, come è capitato a me la sera di domenica 10, all’aperitivo di benvenuto di Nebbiolo Prima , ovvero l’anteprima delle nuove annate di Roero, Barbaresco e Barolo, una cinque giorni nel corso della quale abbiamo degustato qualcosa come 480 vini (e sono ancora vivo!), aperitivo che si è svolto in un posto spettacoloso come il Castello di Guarene , che in Piemonte quella del metodo classico è diventata una moda. Che le bollicine, con la tecnica della rifermentazione in bottiglia, si sono messi a produrle una quantità di produttori impensabile. E che alcune bottiglie sono buone, molto buone, altre fanno leggermente pena, perché produrre metodo classico non è come produrre un vino qualsiasi (o un prosechin …), ma ha bisogno di un serio lavoro progettuale, in vigna ed in cantina. E di una testa, di una mentalità da metodo classico.
A Guarene ho scoperto che oltre ai 15 produttori della denominazione ufficiale e seria del metodo classico piemontese, ovvero l’Alta Langa Docg , metodoclassicisti si sono inventati un po’ tutti. Utilizzando per la produzione delle loro “bulles ” non solo le uve canoniche degli “champenois”, ovvero Chardonnay e Pinot nero, bensì Arneis – voglio a questo proposito citare un’esemplare riserva 2008 dello storico produttore roerino Angelo Negro con sboccatura 2014 – e ogni genere di variazioni sul tema: Nebbiolo in purezza, Pinot nero in purezza, Pinot nero e Nebbiolo, ecc. ecc.
Tutto questo può apparire divertente e simpatico dal punto di vista del consumatore, che si trova così di fronte ad un panorama bollicinaro piemunteis vivacissimo e articolato, all’interno del quale troviamo produttori del Roero, dell’area del Barbaresco e dell’area (sacra) del Barolo, o produttori astigiani, o di zone che per poco non fanno parte della zona di produzione del Barbaresco come l’ottimo Valter Bera di Neviglie, autore di un Alta Langa esemplare e paradigmatico , nonché di un Langhe Nebbiolo, l’Alladio , superiore a tanti Barbaresco Docg. Ma dal punto di vista normativo e della chiarezza della comunicazione siamo di fronte ad un bel “rebelot ”, come si dice a Milano.
A rendere più variopinta questa macedonia mista o insalata russa (scegliete quale, a vostro gusto) dove il consumatore deve muoversi con cautela e discernere attentamente tra il grano ed il loglio, tra il vero ed il fasullo, qualche giorno dopo la serata di gala al Castello di Guarene il vostro osservatore e cronista di cose bollicinose si è trovato di fronte ad un’altra sorpresa. Parlo della presentazione, svoltasi mercoledì sera, cui ero invitato, ma alla quale non ho potuto partecipare impegnato com’ero a bere Barolo fiammeggianti e a scoprire che ci sono Franciacorta che si atteggiano a “strafighe” , ma che alla prova del nove sembrano solo patetiche patetiche carampane rugose che si credono giovani e irresistibili, di un nuovo progetto. Progetto del quale per ora accenno solo brevemente, rimandandovi a domani per il suo racconto e la descrizione di uno dei vini nei quali l’idea si è concretizzata, che si chiama Nebbione metodo classico Extra Brut , ovvero “vino spumante bianco e rosato ottenuto con il metodo della rifermentazione in bottiglia” ovvero “vitigno di origine: Nebbiolo 100%, solo la punta sana dei grappoli”, e ancora “prolungato contatto con i lieviti (minimo 40 mesi), sboccatura con limitato dosaggio (max 3 g/l), solo tipologia extra brut”.
Ma cosa diavolo succede dunque? Per capire meglio cosa succede ho fatto qualche telefonata a persone informate dei fatti, ovviamente il nome dei miei interlocutori non lo rivelerò nemmeno se mi minacciassero di tortura, ovvero costringermi a bere tre bottiglie di Prosecco, e ho capito alcune cose.
E ho scoperto, che qualcuno fa il furbo, qualcuno non la racconta giusta, qualcuno prende scorciatoie dolciastre o dolcettose, altri non ti raccontano la pura verità, e tanti, ma non lo ammetteranno mai, si danno alle bollicine, anzi allo “spumante ” come lo chiamano senza pudore, non perché folgorati sulla via di Dom Pérignon , ma solo perché lo “spumante” è di moda, o percepito come tale, perché dicono si venda più facilmente, perché consentirebbe margini di guadagno teoricamente maggiori. E taluni scoprono le doti del Nebbiolo da spumantizzare perché hanno uve Nebbiolo in eccesso e dei loro pregiati vini Doc e Docg nebbioleschi, invenduti, ne hanno piene le cantine.
Ho scoperto, ad esempio, che non corrisponde al vero il fatto che diversi produttori si trovino costretti a produrre “spumanti” generici e non Alta Langa perché il disciplinare dell’Alta Langa è fermo, inamovibile, bloccato come un compartimento stagno e non prevede o sembra prevedere la possibilità di produrre e qualificare come Alta Langa vini prodotti utilizzando Nebbiolo. Il disciplinare dell’Alta Langa in realtà prevede l’utilizzo per una quota minima del 90% di Pinot Nero e Chardonnay, ma già contempla, anche se non lo si squilla ai quattro venti, una quota minoritaria di Nebbiolo fino al 10%.
Non è vero che quello dell’Alta Langa Docg sia un disciplinare bloccato in eterno, che la denominazione non intende crescere, che è refrattaria alle ragioni (ed emozioni) del Nebbiolo. Innanzitutto l’iter per cambiare un disciplinare oggi è lunghissimo e prevede un paio d’anni minimo e quindi una variazione di disciplinare con maggiore apertura al Nebbiolo potrebbe già essere stata avviata, e inoltre per cambiare un disciplinare e renderlo più “filo-Nebbiolo” occorrerebbe dimostrare scientificamente e storicamente che la modifica ha ragione d’essere, che l’Alta Langa Docg ha davvero bisogno di una variazione, che il Nebbiolo, che pure è un’uva miracolosa, sia davvero un elemento migliorativo in un metodo classico basato su Pinot nero e Chardonnay. Insomma, bisogna capire se il Nebbiolo dia davvero qualità intrinseche ad un metodo classico e se quella del Nebbiolo sia davvero la strada maestra.
Con il Nebbiolo, alcuni casi lo dimostrano, si possono ottenere dei validi metodo classico, ma da chi fa Nebbiolo “spumante” bisogna pretendere che l’uva sia di qualità rigorosa, che la vigna sia davvero nata per fare “spumante”, perché a farlo con i diradamenti del Nebbiolo non si va lontano e la qualità, lo si sa bene, non è mai il risultato di una seconda scelta di uve. Domanda: quanti sono oggi i vigneti di Nebbiolo progettati per fare espressamente “spumante”? Mi pare siano ben pochi. O forse nessuno…
Scegliendo invece di lavorare nell’ambito dell’Alta Langa Docg , senza pretendere che l’attuale 10% di Nebbiolo implicitamente consentito diventi un 90%, si possono ottenere ottimi risultati. L’Alta Langa Docg mi risulta aver fatto da alcuni mesi programmi e azioni concrete per il proprio futuro ed è indubbiamente una denominazione non bloccata ma open (il Consorzio ha la piena volontà di mettere in piedi una sperimentazione seria sull’utilizzo del Nebbiolo e al Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani lo sanno bene…) con una crescita potenziale e reale interessante, con una propria vitalità. Dimostrata dal fatto, non secondario, che il Consorzio dell’Alta Langa Docg ha lottato con la Regione Piemonte per ottenere l’autorizzazione ad impiantare nuovi vigneti e rendere possibile la nascita di nuovi produttori e aumentare una massa critica che attualmente non è grandissima.
Oggi Alta Langa Docg significa 15 aziende, 600 mila bottiglie prodotte, 110 ettari in produzione, 25-30 ettari di nuovi impianti che entreranno a breve in produzione, una richiesta, accolta dalla Regione Piemonte, di aumentare gli ettari vitati, ottenendo il permesso di piantare altri 90 ettari di vigna, cioè 30 ettari all’anno per tre anni. Tra qualche anno gli ettari vitati saranno 200, ed il bando che si è concluso da pochissimi giorni per sfruttare i nuovi diritti d’impianto, ha ricevuto domande che da sole coprono la disponibilità per l’intero triennio, suscitando un enorme interesse trasversale, di piccole aziende, grandi nomi dell’enologia albese, “rinoceronti” e piccoli viticoltori.
Quale conclusione trarre da questo confuso, intrecciato e diversificato improvviso interesse per le “bollicine” da parte del mondo vinicolo piemontese e langhetto? Io direi che se ne possono trarre almeno tre: che devono stare alla larga dall’Alta Langa Docg tutti quelli che non credono nel progetto o non l’hanno capito. Che a quelli che si tengono volutamente e e orgogliosamente lontani dalla Docg del metodo classico piemontese, manco fosse una cosa orribile o pericolosa, bisognerebbe dire “mettetevi anche voi a fare Alta Langa e non sprecate energie nel produrre qualcosa che non c’è e non ostinatevi a cambiare una denominazione che ha raggiunto una sua faticosa identità”.
E poi bisognerebbe ricordare quello che diceva in una sua celebre poesia Eduardo De Filippo : “o ’ rrraù non è carne c’ ’a pummarola ” , ovvero che uno spumante metodo classico piemontese non si ottiene mischiando vini bianchi e rossi, e non è una sorta di carne con la semplice aggiunta di pomodoro.
E soprattutto, ad uso e consumo soprattutto dei più distratti (o dei più furbi?), ho avuto la conferma che un metodo classico è tutt’altra cosa che un semplice “vino bianco con le bollicine”. La Champagne , e nel suo piccolo anche la Franciacorta , insegnano…
________________________________________________________________________
Attenzione!: non dimenticate di leggere anche Vino al vino www.vinoalvino.org e il Cucchiaio d’argento !