Una Maison che piace anche al blog canadese Monsieur bulles
Nei tre giorni, intensi, esaltanti, entusiasmanti di Italia in rosa , la prima e più importante manifestazione nazionale dedicata ai vini rosati – a proposito: è stata un clamoroso, scoppiettante, coloratissimo, festoso successo, alla faccia dei gufi, con oltre 5000 persone che hanno affollato il Castello di Moniga sul Gara, con 116 cantine provenienti da tutta Italia per un totale di oltre 180 etichette in degustazione. In forte aumento la presenza di consumatori giovani, che ormai rappresentano una percentuale pari a circa il 60% del pubblico dell’evento con una componente femminile sempre più elevata – diverse persone che hanno partecipato alle 6 degustazioni di rosati di ogni tipo che ho animato, mi hanno rivolto una sommessa preghiera.
Caro Ziliani, mi hanno detto (ed è gente che segue in maniera sorprendentemente attenta i miei blog e coglie aspetti che io stesso sottovaluto…), abbiamo capito che ultimamente lei ha qualche motivo di rammarico/frizione (difatti passerò presto al cambio automatico…) con la Franciacorta , che non si tratta del momento più felice del suo ménage con quella zona vinicola bresciana, però, gentilmente, anche se ha duecento ragioni per dare spazio alle criticità, che non mancano, non può tornare a scrivere della Docg posta tra Monte Orfano e Lago di Iseo in modo positivo, segnalandoci “bollicine ” che noi consumatori è bene che scegliamo e beviamo?
Detto fatto, amici – per inciso ringrazio le sette aziende franciacortiste che hanno voluto essere presenti ad Italia in rosa (le trovate in questa sezione del sito Internet ) e ringrazio parimenti le tantissime altre che a questa manifestazione di successo non hanno dato alcun credito e hanno evitato accuratamente di partecipare – eccomi a soddisfare la vostra richiesta, dedicandomi ad una bottiglia che ho stappato almeno due settimane fa, la stessa sera che con la mia Lei stappammo una bollicina bresciana dal prezzo stellare di cui ho scritto su questo blog.
Ma della quale scrivo solo oggi, spinto anche da una news che ho ricevuto ieri. Ho letto difatti su Monsieur bulles, blog del bravo confrère canadese Guénaël Revel , un trionfale articolo dedicato ad un metodo classico di questa azienda, non lo stesso che avevo scelto io. Nell’articolo, che potete leggere qui , Guénaël non solo arriva a scrivere benissimo del vino, ma, manco fosse un Franco Ziliani d’antan, osserva testualmente e trionfalmente : « Franciacorta: la confirmation que cette appellation élabore les meilleurs vins mousseux dans le monde grâce, notamment, à des maisons comme Barone Pizzini ».
Non so se traducendo letteralmente – e il francese lo parlo e lo scrivo come l’italiano, forse anche meglio – questo giudizio del collega canadese, farò felice o solleverò le ire del Consorzio Franciacorta , perché Revel scrive: “Franciacorta, la conferma che questa denominazione elabora i migliori vini spumanti nel mondo grazie, in particolare, ad aziende come Barone Pizzini”.
Perché è di un Franciacorta dell’azienda baldanzosamente diretta da uno dei due vice-presidenti, confermati sino a fine novembre, del Consorzio, Silvano Brescianini (piace il tono istituzionale?) che sto parlando, di Barone Pizzini , ovvero la prima azienda franciacortina, posta in di Provaglio d’Iseo, convertita al biologico: nel 1998 ha iniziato la propria sperimentazione sulla viticoltura biologica e dal 2001 ha visto tutti i propri vigneti, 47 ettari divisi in 25 particelle dislocate nei comuni di Provaglio d’Iseo, Corte Franca, Adro e Passirano, certificati bio. Vigne dislocate in alcune delle zone più vocate della Franciacorta per esposizione e composizione del terreno.
Inutile che vi racconti una storia dell’azienda e del mio rapporto con essa. Trovate già tutto in questo articolo del 2011 , e in questo del 2012 dedicato all’annata 2008 del vino di cui vi parlerò a breve, ovvero il Franciacorta Brut Nature 2011, con sboccatura dichiarata del gennaio 2015 e sempre esposto a chiare lettere nell’esemplare retroetichetta, un residuo zuccherino di tre grammi litro, per una cuvée, da uve 2011, composta per il settanta per cento da Chardonnay e per il 30% da Pinot nero.
Il risultato è un vino che ci è piaciuto senza se ne ma, cui avrei attribuito una valutazione di 4 stelle e mezzo con la vecchia scala da una a cinque stelle e che ora che le stelle sono sgranate, da una a dieci, si becca un sonante punteggio di otto stelle.
Perché? Semplice, perché è buono, vero, equilibrato, piacevolissimo, secco al punto giusto, perché riesce a fotografare al meglio ed esaltare le caratteristiche di una parte della Franciacorta che è particolarmente vocata, perché illustra il savoir faire dell’azienda e dello staff agronomico ed enologico. Perché è uno di quei Franciacorta di fascia medio alta che se lo metti a confronto, dal punto di vista della piacevolezza di beva, con dei Franciacorta più cari o più “ambiziosi” (mi veniva in mente un altro aggettivo, ma me lo tengo per me…), non può che stravincere 3 a 1 (lo stesso risultato di una partita di calcio che ha riempito di gioia milioni di italiani , quorum ego), perché quello che conta in una bottiglia di “bollicine ”, anche se made in Brescia, è la piacevolezza, l’armonia, la capacità di farsi bere, la vivacità, il nerbo.
Tutto questo nel Brut Nature 2011 di Barone Pizzini abbonda. Colore paglierino scarico, brillantissimo, con una leggera vena verdolina, si presenta nel calice con un perlage super fine, continuo, vivacissimo, “ruscelleggiante”, con un naso secco, incisivo, nervoso, molto fine ed elegante, tutto ananas, pesca bianca, agrumi, mandorla, fiori bianchi, un leggero tocco di miele e crosta di pane, che poi lasciano spazio ad una trionfante petrosa mineralità, ad un tono leggermente salmastro che richiama l’ostrica e che scandisce un insieme di incontestabile finezza, eleganza, energia, gioventù (vino che tra 5-10 anni sarà strepitoso).
In bocca l’attacco è salato, deciso, minerale, perentorio, con un bell’allungo nervoso, un grande dinamismo, una verticalità svettante, equilibrato al gusto, energico sul palato, croccante, con una leggera vena di mandorla e un richiamo alla pietra e al mare nel retrogusto, e una piacevolezza che induce a vuotare la bottiglia, se poi il duo che beve è composto dalla mia Musa e da me siamo posto, ci vorrebbe, come direbbe qualcuno, un magnum, senza che te ne accorgi.
Abbinamento, d’obbligo, su ostriche, frutti di mare, crostacei, pesce crudo per sancire un matrimonio d’amore di quelli che durano, tutti rose e fiori…
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