Ho le idee chiare su cosa fare, ma lasciatemi lavorare!
Domanda semplice semplice: quale azienda, nella storia, molto vivace e variegata, del mondo del vino dell’Oltrepò Pavese , è riuscita ad avere negli anni una riconosciuta universale notorietà e ad accreditarsi, agli occhi dei consumatori, e parlo non di quelli esclusivamente locali, come marchio ? Gira che ti rigira, la domanda impone una sola risposta. L’unica cantina, con tutto il rispetto possibile per aziende meritevoli di rispetto e considerazione come Monsupello o Le Fracce , o per altre che comunque hanno provato a diffondere il messaggio che Oltrepò fa rima anche con qualità e non è solo sinonimo di Pinot nero vinificato in bianco frizzante e di Riesling italico e di rossi che “busciano” senza pretese, è, oggettivamente , la Cantina Sociale La Versa Spa , fondata il 21 maggio 1905, con i primi ventidue soci (oggi sono 350), da Cesare Gustavo Faravelli.
Cosa sia (stata) La Cantina Sociale di La Versa , che da ora in poi chiamerò più semplicemente La Versa (nome che prende origine dal paese dove ha sede, Santa Maria della Versa ) è presto detto: uno dei simboli del rinascimento del metodo classico italiano negli anni Settanta-Ottanta, grazie a personaggi illuminati come il celebre Duca Antonio Giuseppe Denari , “che fece grande la Lombardia del vino ” d’antan, una Lombardia enoica dove la Franciacorta era ancora una giovane promessa, la Valtellina un’isolata regione di montagna dove si producevano vini che bisognava andare in loco per bere e l’ Oltrepò Pavese era giocoforza il play maker, una terra benedetta, con tanti ettari vitati destinati a quell’uva croce e delizia che è il Pinot nero .
Purtroppo anche le favole belle a volte prendono una svolta negativa e le cronache ci raccontano che per una serie di errori clamorosi, che sarebbe troppo lungo riassumere qui, legati a management inadatti e lontani anni luce dall’illuminata intelligenza del Duca Denari, a scelte produttive e commerciali che si sono rivelate clamorosamente sbagliate, nonché, va detto, ad un’immagine dell’Oltrepò Pavese del vino che agli occhi di tanti consumatori perdeva credibilità e prestigio (a tutto vantaggio di vecchi e nuovi agguerriti competitors) La Versa ha seriamente rischiato, ci è andata vicinissima, di andare a carte e quarantotto.
Questo aver sperperato quel patrimonio di credibilità e autorevolezza, quella capacità di essere marchio (brand , come dicono quelli che se la tirano…) che aveva caratterizzato per anni la propria opera e reso stabile la sua presenza sui vari mercati. Nelle carte dei vini dei ristoranti che contano. Sulle tavole degli italiani dotati di un minimo di cultura enoica.
Per fortuna, in zona Cesarini, come scrivevo qualche mese fa su Vino al vino in questo post , per usare un linguaggio mutuato dai film western, “sono arrivati i nostri”, sotto forma di un personaggio fantastico, tutto da conoscere, come il ristrutturatore di imprese prima che imprenditore di vino (anche se imprenditore lo è davvero, con un’azienda in Piemonte, nell’Alto Monferrato, che vende tutto, quasi un milione e mezzo di bottiglie, all’estero), cil bresciano Abele Lanzanova .
Uno che, in terra oltrepadana, dove è visto come il fumo negli occhi, perché estraneo all’establishment vitivinicolo locale ed espressione di quella provincia, Brescia, culla di quella denominazione che nel campo del metodo classico in soli cinquant’anni è riuscita a fare quello che l’Oltrepò ancora si sogna, ovvero diventare la capitale delle bollicine nobili italiane, la denominazione (con tutto il rispetto per il Trento Doc) di riferimento, non è arrivato in punta di piedi. E con il suo stile tutta concretezza e orgoglio del fare, ha dichiarato addirittura “Venderemo sei milioni e mezzo di bottiglie nell’arco di tre anni”. E se non bastasse, con il suo arrivo in cantina ha portato parecchi cambiamenti. Una mezza rivoluzione.
Cosa succede a La Versa oggi e quali sono il sentiment , le intenzioni, i programmi, ed un primo bilancio da parte di quello che la stampa, con palese scetticismo, ha chiamato “il salvatore”?
Per saperlo, ed essendo fermamente convinto che se riparte La Versa riparte l’intera “locomotiva” del vino oltrepadano e persuaso che una La Versa restituita ad una salute economica e ad una normalità produttiva e commerciale non possa che fare del bene, e molto, a tutto il comparto vitivinicolo oltrepadano, ho pensato di chiedere al “bresà ” sbarcato a Santa Maria della Versa un incontro. Non un’intervista vera e propria, perché intervistare seguendo i canoni di una normale intervista con domande e risposte canoniche un personaggio del genere è praticamente impossibile, ma un po’ da trascorrere insieme per parlare, visitare la cantina, bere e mangiare qualcosa in compagnia. E farmi un’idea di chi sia questa persona, imprenditore autentico, questo è innegabile, oggi al timone dell’importante cantina oltrepadana.
Abele Lanzanova è il tipo che ti genera reazioni senza mezze misure quando lo incontri e vieni travolto dal suo fiume di parole, di concetti semplici, ribaditi più volte, di proponimenti e progetti in forma di sogno: o lo trovi insopportabile o ti è istintivamente simpatico e ti fa venire voglia di fare il “tifo” per lui. Più vicino, umanamente parlando (non so che idee politiche abbia, anche se a pelle credo di aver capito come la pensi…), a Berlusconi che a Renzi, è il classico tipo, magari con un filo di pelo sullo stomaco (perché senza un po’ di pelo non puoi fare l’imprenditore e non puoi fare i soldi…), che si è fatto da sé e che è orgoglioso (giustamente) del cammino percorso. Della fatica fatta, del tempo dedicato al lavoro, sottraendolo magari alla famiglia.
Un tipo che preferisce la concretezza , il fare, alle teorie e alle belle astrazioni, e che è entrato in questa avventura, sostenuto da “una fiduciaria legata a Banca Intesa, soci che fatturano molti milioni di euro”, perché ovviamente ha fiutato e valutato di poter fare un affare, di poterci – “penso ad un rientro in cinque anni” – guadagnare, anche accollandosi una cantina che “chiuderà l’esercizio con una perdita di un milione e ottocentomila euro”, spinto e affascinato da una sorta di sfida. Quella da vincere contro gli scettici, quelli che l’hanno preso come un dilettante allo sbaraglio, uno che viene a rompere e scardinare meccanismi impolverati, pigrizie mentali. Meccanismi e conformismi antichi, vecchie abitudini. Proprie quelle che hanno portato La Versa ad un passo dal baratro.
Quando chiedo a Lanzanova se la politica l’abbia aiutato nella sua operazione la risposta è tranchant e divertita: “Non mi ha messo i bastoni tra le ruote, ma non mi ha dato nemmeno un particolare aiuto. Tanti proclami sui giornali locali (credo si riferisse alla Pravda, pardon alla Provincia Pavese ) , ma l’unico politico che è venuto in cantina se n’è andato via con i suoi bei cartoni di vino… “. Ovviamente regolarmente pagati…
Parlo un po’ con lui, lo ascolto, cerco di capire se ci sia o ci faccia (ma credo sia proprio così e non reciti una parte…) e subito avverto la consapevolezza che quello tra lui e il mondo oltrepadano sarà un rapporto complesso, che molto difficilmente porterà ad una simpatia nei suoi confronti. E tanto meno ad una riconoscenza: “questo è un territorio particolare: ho capito che potrò anche fare grandi cose, tipo riportare il marchio in alto, ma i locali non ti saranno mai riconoscenti e ti considereranno come un alieno. Alcuni preferivano che la cantina chiudesse, piuttosto che arrivasse un esterno, per di più un bresciano. Quando sono arrivato io, se non avessi firmato una lettera di intenti, La Versa sarebbe fallita”.
E poi, inarrestabile, a raccontarmi quello che, con tanta fatica, “mille problemi per avere una delibera da parte del Consiglio della Cantina”, e poi “la forza vendita da rivedere”, è riuscito a fare, tra l’incredulità – e l’insofferenza – generale in questi mesi: “un accordo quadro a tutti gli effetti, perché non volevo il concordato e me l’hanno trasformato da concordato in continuità in ristrutturazione e così facendo ho risparmiato la bellezza di un milione e mezzo di concordato. In questi mesi ho fatto tutto da me, senza l’aiuto di nessun altro, né presidente né altri. Qui dentro ne ho trovate di tutti i colori, sono già esposto di 900 mila euro che nessuno mi ha garantito. Ho già formato la Spa che diventa socia della società al 50%. Dal punto di vista tecnico, ho cambiato staff, all’insegna del rinnovamento e delle forze giovani: come enologo Andrea Rossi e poi un’agronoma enologa molto brava che si chiama Michela Stan”.
E’ un fiume in piena quando rivendica “abbiamo fatto la vendemmia e vinificato quando tutti dicevano che le strutture erano inadatte o rotte e per la prima volta in tanti anni quello che abbiamo speso per la pigiatura e gli altri lavori durante la raccolta lo portiamo a casa raddoppiato facendo un’operazione di affitto dei serbatoi che non abbiamo utilizzato. Sono in corso di perfezionamento contratti per un milione e trecentomila bottiglie entro fine anno eppure ci sono persone che stanno ancora cercando qualcuno che venga al mio posto, millantando l’interesse di un Fondo delle politiche agricole ad investire 6 milioni di euro su La Versa”.
Al che gli obietto: ma si era parlato di un altro gruppo interessato a rilevare la Cantina, la veronese Tommasi, un’azienda e una famiglia seria che conosco bene da anni…
La risposta è quasi veemente: “lo so, l’ho letto anch’io, ma i Tommasi a La Versa hanno solo portato 500 ettolitri di vino in lavorazione e poi per il momento hanno preso solo in affitto un’azienda locale che non possono annunciare come acquisto perché è ancora in vigore un diritto di prelazione, però visto quello che ci stanno spendendo dietro è ovvio che l’abbiano acquistata…. La verità è che l’unico che ha speso soldi in consulenti, a comprare crediti di soci che volevano far fallire la loro società, che ha investito tempo e soldi sono stato io. Tutto il resto sono fantasie, e la realtà é che quest’anno l’azienda, quando era condotta da chi c’era prima del sottoscritto, chiuderà con una perdita di un milione e ottocentomila euro”.
Le cose che poi “il Lanza ” mi racconta e che sembra mostrare come fiori all’occhiello del proprio operato non sono certo cose che attirano la simpatia dei pavidi e dei conformisti: “tutti quelli che sono venuti prima di me a trattare l’azienda sono scappati dopo un mese. Io sono qui da mesi, impegnato giornalmente, ho mandato via due consiglieri, ho cambiato un sacco di cose e voglio lanciare un segnale forte di discontinuità e cambiamento, questo nonostante anche alcuni ostacoli interni rappresentati da persone che il cambiamento, per pigrizia, non lo vogliono. Ho agito strategicamente con il personale, dimostrando che so gestire il magazzino, dando un segnale forte. Ho lasciato 22 persone in mobilità. Non ho chiamato nemmeno i sindacati, mi sono affidato ad un consulente del lavoro di Brescia”.
Lanzanova “renziano”? Macché, solo un tenace decisionista, smanioso di cambiare le cose, di dimostrare di non essere una meteora o un bluff. La Versa, mi dice, “è una cattedrale che costa soldi. Oggi per fare sei milioni di bottiglie non c’è più bisogno di tantissimo personale, occorre razionalizzare personale, investimenti, operatività. E’ una cattedrale bella da visitare questa Cantina, ma va bene la poesia, poi devono tornare i conti… Oggi il controllo del magazzino è totale, ho fatto inventario e pulizia, ho mandato via sette camion di roba da buttare”.
A proposito di inventario, di quanto metodo classico dispone in cantina La Versa?
La risposta non tarda un secondo ad arrivare: “1.300.000 bottiglie. Questo è quanto ho in cantina, se non ci fosse stato quel magazzino, secondo lei, ma chi me l’avrebbe fatto fare di accollarmi questa operazione? Io calcolo che se mi so muovere bene, se so posizionare bene il prodotto, posso fatturare 7-8 milioni di euro. E potrei già guadagnare al terzo anno. Ha ragione lei, se riparte La Versa riparte l’Oltrepò: però ci devono lasciare lavorare, perché ci metto i soldi, e io dedico tanto tempo e lavoro e mi applico per avere una risposta concreta già a fine anno”.
Il ragionamento che Lanzanova fa seguire è un misto tra orgoglio, lucidità, visione e un pizzico di furbizia imprenditoriale, che non guasta mai: “Dopo sette anni che gli autocarri di La Versa erano fermi, sono tornati a girare e consegnare vino per l’Oltrepò e a Pavia, Stradella e in altre località e siamo tornati ad essere presenti nei migliori bar con un prodotto che era fuori da anni. Io la penso così: prima divento forte nel mio territorio, poi vado all’estero. Devo andare a vendere in America o in Cina e non cerco prima di vendere a Stradella e Broni? Pavia e dintorni sono tutti da riconquistare. In tanti bar della zona o in città quando chiedevi un Testarossa ti vedevi spesso proporre Prosecco o metodo classico di altre denominazioni.
Ad alcuni bar ho così proposto un esperimento un po’ audace: quando vi chiedono del Prosecco provate, senza far vedere la bottiglia, a proporre “spumante” di La Versa e provate a vedere se si accorgono. Con una differenza, che là usano la Glera, qui un’uva molto più nobile come il Pinot nero. Poi al cliente glielo devi spiegare e far capire che sono cose diverse…”.
Il “Lanza” ha le idee chiare sulla mission di La Versa: “la Cantina deve tornare ad avere un vero mercato, non si può vendere sottocosto. Dobbiamo riprendere il nostro posto, che è un posto storico, nel canale Horeca, rivedere le bottiglie, avere una linea Horeca coerente e una linea di bottiglie, scelta per razionalizzare costi e immagine, destinata alla GDO, togliendo spumanti, con referenze mirate”.
Sono difatti troppe le etichette attuali di La Versa e il bresciano è consapevole che bisogna ridurle: “tre o quattro Oltrepò Pavese metodo classico, compreso il Cruasé , il Moscato di Volpara che è diverso da quello di Asti e va valorizzato, una Bonarda, un Pinot nero ben fatto, una Barbera e l’inserimento di un Riesling renano”.
E quando gli chiedo che tempi si sia dato per mostrare la nuova immagine e strategia La Versa, la risposta arriva subito, chiara, senza esitazioni: “Per Natale abbiamo la possibilità di proporre 17.000 bottiglie di Docg di annata 2004 di alto livello, poi abbiamo l’idea di riportare la Cuvée storica all’etichetta del 1944, e di mettere sul mercato 3-4000 bottiglie per entrare nella ristorazione di livello, per lanciare un segnale chiaro della nostra volontà di tornare ad essere quelli che eravamo, con una qualità indiscutibile”.
Il progetto è chiaro e molto ambizioso: arrivare da due milioni a sei milioni di bottiglie, con uno spazio importante per il metodo classico e un’identità ben precisa di ognuno dei vini proposti e soprattutto di La Versa come marchio storico , come simbolo del meglio dell’Oltrepò Pavese del vino.
Ci sono tantissime cose da fare e sicuramente non mancheranno, da parte di Abele Lanzanova, gli errori, fatti magari per generosità, entusiasmo, inesperienza, per la volontà di fare bene e di vincere la sfida e convincere, con i fatti, numeri e carte alla mano, gli scettici.
Però, e lo dico dopo aver girato la cantina, ammirato le cataste di annate storiche, di grandi formati, di etichette che hanno fatto la storia del metodo classico italiano, il sottoscritto e questo blog non possono che augurarsi che questo “salvatore” bresciano, questo outsider dalle idee chiare e dal grande coraggio , vinca la propria sfida e che porti a casa il grande risultato e che La Versa ed i suoi vini riprendano a fare parlare di sé non per un fallimento sfiorato ed un marchio liquidato a chissà chi, ma per la loro qualità, per il loro raccontare, in positivo, l’Oltrepò Pavese.
La filarmonica di Stradella
Un angolo di Lombardia che non ha la pretese di essere la Champagne o la Borgogna d’Italia, ma semplicemente una terra dalla grande vocazione enoica dove i vini, quando sono buoni, hanno un gusto speciale. Quello, scriveva un grande oltrepadano come Gioann Brera fu Carlo , del vino che sorride , perché “il vino delle colline pavesi è da primato”, colline che “dilatano il respiro, sono imminenti e lontane, familiari e pur favolose. E il vino è la loro sintesi arcana”…
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