Con tutti i limiti della zona e delle teste, sempre meglio un Franciacorta
Indispensabile antefatto. Tre persone del cui palato e della cui conoscenza delle “bollicine”, italiane e non, mi fido assolutamente (un nome su tutti, Andrea Grignaffini , parmigiano direttore di Spirito di vino e palato raffinato) negli ultimi mesi me ne avevano parlato talmente bene che nonostante i precedenti non fossero entusiasmanti mi ero finalmente deciso: devo assolutamente visitare Cà del Vent .
Non sapete di chi e cosa stia parlando? Non preoccupatevi, non è poi così fondamentale saperlo. L’aziendina di cui sto parlando è nota, pardon, cerca di farsi notare, avendo in tempi recenti (tanto recenti che non hanno ancora pensato di aggiornare il sito Internet e di eliminare ogni riferimento alla “malefica” zona da cui, a parole , prendono risolutamente le distanze) scelto di non rivendicare la denominazione, di origine e controllata, Franciacorta , pur operando nel territorio della Franciacorta, da vigneti posti nella zona spumantistica bresciana.
Ero così risoluto a salire ai Campiani di Cellatica che avevo chiesto una sorta di “raccomandazione” ad un lettore di questo blog che i vini di quell’aziendina prova a vendere. Costui, M.C., dopo aver parlato non con il vero proprietario, che si occupa di altro, ma con una sorta di direttore e guru , che di nome fa Antonio Tornincasa (anche in questo caso se non lo conoscete non fatevene un cruccio) mi aveva dato il semaforo verde, chiama.
Ho dunque chiamato il “guru” e la risposta dall’altra parte è stata così “calorosa” che al confronto un iceberg è uno scaldacoperte… Ho spiegato chi fossi e cosa desiderassi fare, una normalissima visita con degustazione (cosa che ho chiesto anche ad un certo Château d’Yquem non incontrando alcun problema, o a Maison de Champagne come Charles Heidsieck) ma dal tono della voce, tra la degnazione, lo scazzato ed il nauseato, o quantomeno indifferente, e dall’invito a scrivere una mail per verificare (lo capisco, ricevono centinaia di analoghe richieste ogni giorno) se la visita fosse possibile, ho capito che non era il caso.
E quindi, siccome sono “fumino” e magari, dicono, non l’ultimo pirla (semmai il penultimo) che passa per strada, non ho mancato di esprimere al sor Tornincasa in un “vivace” messaggio di posta elettronica che sono disponibile anche a pubblicare, il mio pensiero e la mia rinuncia, tanto, avremmo entrambi dormito e vissuto lo stesso.
Avevo già messo una pietra sopra al “caso Cà del Vent” quando domenica scorsa, essendomi portato con gioia a Fornovo Taro per la vivacissima rassegna di Vini di vignaioli , organizzato dalla bravissima Marie Christine Cogez, ecco la mia sorpresa scoprire che accanto a nomi indiscutibili come Fonterenza, Stefano Amerighi, Podere Concori, La Piana (a Capraia) un gioiellino, vini tutti da scoprire, a Salvatore Magnoni, ‘A Vita, Sergio Arcuri, Eugenio Rosi, Nusserhof, Rosmarinus, Santa Caterina, Camerlengo (una rivelazione, un produttore che fa vini proprio come piacciono a me) Cascina Boccaccio, Barraco – cito solo alcuni dei tanti, bravissimi, che mi hanno emozionato nei miei assaggi domenicali, c’era anche Cà del Vent .
E’ il destino che me li fa incontrare, mi sono detto! E così, senza fretta, dopo essermi delibato vini, dei produttori sopra citati e di altri ancora, che hanno giustificato in pieno la lunga trasferta e le hanno dato un senso enoico antropologico, mi sono deciso di tentare la sorte e di provare a degustare le cuvée della piccola azienda che non vuole identificarsi con la Franciacorta.
Ho dovuto aspettare e ripassare più volte, perché onestà m’impone di riconoscere che il tavolo di Cà del Vent era costantemente meta di pellegrinaggi di bubbles aficionados, ma finalmente ce l’ho fatta e ho potuto degustare quattro cuvées.
L’agronomo ed enologo (nella foto è quello con il codino) Flavio Faliva , mi ha servito quattro cuveés fornendomi come informazioni unicamente la composizione dell’uvaggio. Nessun’altra notizia. Ho quindi degustato senza essere influenzato dal profluvio di notizie, dettagli, divagazioni tecniche che l’appassionato può trovare sul sito Internet aziendale (non aggiornato, dove le cuvées vengono ancora presentate come Franciacorta ), il punto di vista sul biologico , quello sul ruolo dell’uomo nella produzione dei vini, quelle sul vino naturale .
Non mi ha condizionato in alcun modo, anzi, visto il mio “feeling” con larga parte della Franciacorta intesa come denominazione e come Consorzio, avrebbe potuto essere un elemento positivo, leggere che “Nel Mare Magnum della Franciacorta , una realtà estranea a mode e luoghi comuni. Piccoli artigiani da 7 ha e nemmeno 30 mila bottiglie”.
Oppure che, come ho letto in seguito, “Da gennaio 2017 hanno abbandonato la Franciacorta (Consorzo di Tutela e Denominazione) dopo le ripetute bocciature dei loro vini ritenuti non idonei dalle commissioni perché “troppo ricchi e complessi”. Producono oggi “in libertà “, scegliendo di esaltare a loro modo territorio, annata e gesto artistico ( pur attenendosi al metodo) alternando ad es. interpretazioni con affinamenti ossidativi (inconcepibili per la cultura locale) o spumantizzazioni di Cabernet Sauvignon e Merlot (uve non incluse nel disciplinare Franciacorta). La gamma che propongono è VSQ, vino spumante di qualità ”.
Non sapevo nulla, quando degustavo, come faccio da 33 anni a questa parte, con un’antica e particolare attenzione per le bollicine metodo classico, dei prezzi dei vini, che scoprirò essere elevati, che Cà del Vent è una delle poche aziende “franciacortiste” che garbano ad un “simpatico” eno-fighetto come Andrea Scanz i, e non condizionava il fatto che il mio amico Grignaffini avesse scritto in questi termini di una delle cuvées più importanti della casa, a nome Révolution .
Ho assaggiato, attentamente e basta, per prima:
una Cuvée Cabernet 64% Merlot 36%, su cui non mi pronuncio, non avendo l’intelligenza e la sensibilità necessaria per capire questo tipo di “sperimentazioni”, che per me non hanno senso nemmeno a Bordeaux, nell’ambito dei Crémant de Bordeaux, limitandomi a dire che l’ho trovata dura, legnosa, piacevolezza e bevibilità zero.
Quindi una Cuvée, annata 2013, a base di uve Pinot 94% e Chardonnay 6%, trovata parimenti segnata dal legno, bloccata in uno suo sviluppo e dinamismo, asciutta, astringente.
Qualcosa di meglio con un Blanc de Blancs 2013, Chardonnay in purezza, caratterizzata da una buona intensità cremosa, un naso agrumato, ricco, con una buona larghezza e vinosità spiccata, con una presenza di legno ancora abbastanza evidente per i miei gusti.
E infine un 2012, con sboccatura marzo 2016, 77% Chardonnay e 23% Pinot nero, che potrebbe corrispondere alle caratteristiche del Révolution . Questo il primo è unico metodo classico di Cà de Vent a convincermi, pur senza entusiasmarmi, con il suo paglierino intenso, il naso denso, caldo, maturo, con agrumi canditi in evidenza, un tocco di pasticceria, una certa freschezza aromatica, la bocca piena e molto consistente, una tessitura fitta, una lunga persistenza. Vino interessante, ma 50 euro e oltre lo considero un prezzo assolutamente fuori da ogni logica. 50 euro, ma scherziamo?
La cosa sarebbe finita lì, con le mie idee sul “fenomeno” (mediatico) Cà del Vent, e sui suoi vini, con le mie perplessità sui prezzi, a mio avviso lunari, delle cuvées, disponibili su un sito Internet di vendita , che è stato creato dal Signor Tornincasa , se non avessi avuto la malaugurata idea di voler scambiare due parole, limitandomi ad esprimere le mie impressioni sulle bolle degustate a Flavio Faliva .
La risposta, ho un testimone, è stata, ancora più allucinante da parte sua, visto che è un tecnico e dovrebbe esprimere pareri tecnici, incredibile. Dapprima una negazione del fatto che io potessi trovare eccessi di legno nelle cuvées, quindi l’osservazione “voi accettare senza problemi, perché è Champagne, tutto il legno che c’è in Krug, e ne trovate troppo qui?”. Poi una tirata, che non riporto, perché comprendeva valutazioni sui Franciacorta che molti produttori ed il Consorzio potrebbero giustamente considerare diffamatorie, sulle caratteristiche e sul gusto che “i Franciacorta” presentano. Infine, quando gli ho fatto il nome di qualche azienda le cui cuvées sono secondo me esemplari, ad esempio Colline della Stella , azienda scelta perché posta nella stessa zona dove si trovano le vigne di Cà del Vent, nemmeno un’ombra di onestà intellettuale nel riconoscere che lavorano bene e fanno non dico ottimi (per me lo sono) ma almeno validi vini.
Una bocciatura manichea che nemmeno un critico della Franciacorta come me potrebbe mai sognarsi di fare. E che non ammetto e respingo come presuntuosa, anzi arrogante.
Per cui, per i prossimi vent’anni, non parlatemi più, per favore, di Cà del Vent: meglio rivedersi Via col vento per la ventesima volta! Meglio i Franciacorta veri e buoni che non se la tirano…
Attenzione!:
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