Non ci siamo proprio, gentile contessa Ottavia Giorgi di Vistarino
Gentile contessa Ottavia, da quanti anni ci conosciamo? Parecchi, credo. Ho più volte, in passato, avuto il piacere di farle visita nella sua splendida (quasi come i suoi occhi…) tenuta di famiglia, la Tenuta Conte Vistarino di Rocca de’ Giorgi , e ho apprezzato i suoi sforzi per fare della sua azienda, “una superficie aziendale di 826 ettari, che occupa l’80% del comune di Rocca de’ Giorgi: 640 ettari tra boschi, prati, seminatavi, piante arboree da legno, e 188 ettari di vigneto, di cui ben 140 a Pinot nero”, una delle aziende leader di quella zona bene/maledetta (come direbbe Veronelli) che corrisponde al nome di Oltrepò Pavese .
Ho ricordi anche divertenti delle mie visite, come quella volta che in giro per vigneti con l’auto rimanemmo impantanati e per fortuna c’era già il cellulare e lei poté chiamare qualcuno a salvarci e tirarci fuori dal fango…
So benissimo che la sua è una famiglia importante , che voi appartenete alla storia del vino oltrepadano, visto che la “azienda Conte Vistarino, a metà del 1800, importò e poi impiantò le prime barbatelle di Pinot Nero in Italia”. Tutto bello, tutto splendente, ma a me interessa il presente ed il presente a me dice che nonostante tutto il suo darsi da fare (anche con certa stampa e con le guide, con cui intrattiene ottimi rapporti, anche con la collaborazione della sua p.r. austriaca con sede in Firenze) lei, a mio modesto parere, deve ancora lavorare molto, chiarirsi le idee, scegliersi i giusti collaboratori (ne ha avuti anche di molto bravi e molto importanti, ma poi qualcuno è scappato via, perché?). Io, banalmente forse ai suoi occhi, giudico i risultati e a giudicare da un suo vino che mi è capitato di stappare oggi, mi sembra siano risultati molto insoddisfacenti.
Io queste cose, se ci fosse modo di frequentare la sua azienda come in passato, gliele avrei dette anche de visu, gratis et amore deo, ma sono anni ormai che manco dalla sua splendida casa. Da quando lei (forse mal consigliata dalla sua p.r. alla quale sono antipatico: tranquilla la cosa è reciproca, anzi non ho alcuna considerazione per quello che fa e come lo fa) nell’ottobre 2015 dopo avermi fatto pervenire un invito in azienda, a seguito di un accadimento sgradevole, che non riguardava lei e la sua azienda, e che mi vide protagonista a Milano, durante la Giornata Champagne (ne parlarono e sparlarono cani e soprattutto porci, su social, siti, blog e persino su Dagospia…) pensò bene, facendo una figura che non sta a me giudicare ma che si commenta da sola, di disdire l’invito. Facendomi sapere, non ricordo se lei personalmente o tramite la sua p.r., che ero persona non gradita. A lei e ad alcune persone che avrei incontrato.
E anche recentemente, quando ormai da anni (lo sanno tutti, dovrebbero saperlo anche la sua p.r. e lei se non siete in malafede) tra me e il signor Andrea Gori tutto è stato chiarito, senza andare in tribunale, con una stretta di mano tra noi durante la prima edizione dell’evento Champagne a Modena, lei, non so se sua sponte o su imbeccata della sua p.r., quando invita giornalisti del vino nella sua azienda evita di invitare me. Che magari ho più conoscenza ed esperienza di metodo classico e lettori di altre persone ammesse a Rocca de’ Giorgi.
E forse fa bene a non invitarmi e limitare le occasioni in cui possa assaggiare i suoi vini, visto la qualità del suo metodo classico Cépage che mi è capitato di degustare e provare a bere (impresa improba) a casa mia oggi, una cuvée proposta per l’80% da Pinot nero e per il 20% da Chardonnay, 30 mesi di permanenza sui lieviti, cuvée che voi presentate dicendo che “con il Cépage la Casa ha voluto cimentarsi nell’assemblaggio inusuale dei due vitigni più famosi al mondo. Sin dal nome (Cépage=vitigno), si sottolinea che questa cuvée abbandona la tradizione di Vistarino pur mantenendone la ben nota cifra stilistica”.
Forse la mia bottiglia, dégorgement del dicembre 2018, tappo perfetto, apparentemente priva di difetti tecnici ed enologici, non era tra le più felici, e forse, se fossi clemente e cristiano (non sono né una cosa né l’altra) avrei potuto far finta di niente, non scrivere questo articolo, magari inviare a lei le mie note di degustazione come un personale regalo e tacere.
Ma sarebbe stato ingiusto tacere, perché se questo vino mediocre e imbarazzante, di cui sono riuscito a malapena a bere un bicchiere (non solo perché sono abituato a bere bene e so distinguere la qualità delle bollicine metodo classico, che ci sono anche in Oltrepò Pavese, ma non in questa azienda, da Monsupello, Bruno Verdi, Ballabio, Scuropasso Marazzi, De Cardenas, Olmo antico, Castello di Gigognola, Torre degli Alberi ad esempio) la avesse prodotto un’aziendina sconosciuta, magari alle prime armi, non avrei infierito. Non sono crudele.
Ma poiché questo Cépage riporta in etichetta “prodotto da Conte Vistarino società agricola sas” è doveroso testimoniare e raccontare. E rendere edotti i miei numerosi lettori. Perché se sei ricco, potente, bello, nobile, coccolato dalle guide, dotato di p.r. da eno-vip, allora, cara contessa (e mi scriva pure, come ha fatto, che secondo lei “tiro coltellate, minaccio, aggredisco” e mostro “disprezzo” nei suoi confronti – roba de matt, questi sangue blu un po’ viziati hanno smarrito il significato delle parole… o parlano una lingua tutta loro con birignao, erre mosce e mossette snob) bisogna anche accettare che non tutti blandiscano e si inchinino al suo passaggio, ma scrivano le cose come stanno.
Ad esempio che, a mio modesto avviso, la contessa Ottavia Giorgi di Vistarino difficilmente potrà essere una figura trainante nel mondo del vino oltrepadano, che ha un’eccessiva considerazione di sé e manca, cosa che capita spesso nel mondo del vino di oggi, di umiltà.
Che dire di questo vino, triste e malinconico sin dal suo colore grigiastro ramato, tipo Pinot grigio, perlage quasi assente o non pervenuto, naso impercettibile, inespressivo stanco, seduto, privo di vivacità, che mostra solo note di frutta gialla matura e nessuna freschezza, nessuno charme olfattivo?
Bocca molle, evoluta, estenuata, senza nerbo, piatta, una nota di mela cotta e frutta sciroppata, gusto dolcino, banale, un vino privo di personalità, bottiglia stanca già al capolinea. Sembra di bere un vino fermo, anche piuttosto deludente, per notizie delle bollicine sul palato, sulla freschezza, sul nerbo acido rivolgersi a Federica Sciarelli a Chi l’ha visto.
Che dire? La bottiglia, gentile contessa Ottavia, è a sua disposizione e a disposizione di chiunque domani voglia raggiungermi per assaggiarla. Ora magari mi scriverà ancora, come ha fatto, “non capisco perché, per esprimere un’opinione, usa la violenza verbale, quasi si macchia la sua abile penna offuscata da una rabbia che prende il sopravvento sul contenuto dell’articolo, che è quello che invece interessa ai lettori”. Non solo scade nel ridicolo producendo spumanti come questo, ma pretenderebbe anche di dare, a me, lezioni di deontologia e di giornalismo… Ma mi faccia il piacere sciura Ottavia!
A conti (e contesse) fatti, non ci siamo proprio. In questo caso, dommage, noblesse non oblige …
OLYMPUS DIGITAL CAMERA Per favore ridatemi il Caprettone metodo classico Pietrafumante di Casa Setaro , che non ha pretese di grandezza, è fatto sul Vesuvio e non è espressione dei vigneti pettinati di una famiglia che ha consuetudine con Carlo d’Inghilterra e blasonati di mezza Europa, che sarà plebeo e adatto a populisti come me, ma eccome se si beve!
n.b. non dimenticate di leggere anche il nuovo blog personale www.francoziliani.it e Lemillebolleblog www.lemillebolleblog.it